Il cacciatore, da oggi in sala il capolavoro di Michael Cimino

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il cacciatore

Torna in sala per tre giorni, dal 22 al 24 gennaio distribuito da Lucky Red in versione restaurata in 4K, Il cacciatore di Michael Cimino.

Ci sono poche cose rimaste più impresse nell’ultimo mezzo secolo di cinema della famosa scena della roulette russa. Il campo controcampo tra Robert De Niro e Christopher Walken, la benda rossa intorno alla testa di quest’ultimo, i sorrisi prima di un movimento delle mani quasi impercettibile. E poi…

Era il 1978, Michael Cimino era al suo secondo film da regista.

Quattro anni prima aveva esordito con Una calibro 20 per lo specialista, con protagonisti Clint Eastwood e Jeff Bridges. Un film venuto fuori per scommessa, come lo stesso Michael mi raccontò a Locarno nel 2015, quando gli fu consegnato il Pardo d’Onore.

«Avevo scritto la sceneggiatura e il mio agente, che era anche quello di Clint, mi chiama e mi dice che l’adora e la vuole comprare. “Non è in vendita, lo voglio dirigere”. Clint allora mi vuole incontrare, ci vediamo agli studi Warner. Lui, altissimo, in piedi davanti a me mi dice “Ti do tre giorni sul set, se non funzioni il film lo dirigo io e tu sparisci”. Ok, dico io. È andata bene».

Michael Cimino era così, un artista senza paura

Le sue idee le ha scontate tutte sulla pelle, lasciando un paio di capolavori, tra cui Il cacciatore. La seconda parte degli anni Settanta furono quelli della vergogna e del rimorso per l’America. Il cinema attinse a piene mani dalla sporca guerra per raccontare le storie di un paese ferito e confuso. Gli amici di Clairton, Pennsylvania, operai nelle acciaierie, giovani uomini russi ortodossi, che la domenica vanno a caccia di cervi e da un giorno all’altro si trovano a sparare ai Vietcong, sono parte integrante della poetica di Cimino, che dal contrasto tra culture è sempre stato affascinato.

E qui non è quella tra Stati Uniti e Vietnam a interessargli, ma tra russi e americani. I primi che pur di farsi accettare, per il benessere di figli e nipoti, nel tessuto del Grande Paese, sono disposti ad andare a morire in una guerra con cui non hanno niente a che fare. Le medaglie e le ferite che portano indietro sono niente rispetto a quello che li aspetta a casa.

Un discorso che Cimino riprese con il suo film successivo, il mastodontico I cancelli del cielo, capolavoro ricordato soprattutto per ragioni non vere (non fu quello il film che fece fallire la United Artists, ma una serie di fiaschi precedenti e di operazioni finanziarie scriteriate). Anche ne L’anno del Dragone si scontrano due mondi diversi, e quando la questione non è etnica è sociale, come in Ore disperate.

Il cacciatore è il film che racchiude la poetica di Cimino

Che tra quella nidiata di fenomeni degli anni Settanta, da Spielberg a Coppola, Lucas, De Palma e Scorsese, era quello fuori dagli schemi, perfetta sintesi tra Mike Vronski, che a caccia ci andava con un solo colpo nel fucile altrimenti non era giusto, e Nick Chevatorevich, che in quella società fatta per annichilire l’individuo non ci voleva tornare, a costo di vivere una pallottola alla volta.

De Niro e Walken sono indimenticabili, quest’ultimo vinse l’unico Oscar della sua carriera con un ruolo che ogni attore sogna, ma che quando arriva devi saper reggere.

Attorno a loro un cast fenomenale e un dramma che si stava consumando

Quello di John Cazale, che morì di cancro subito dopo avere terminato le sue scene, lasciando sola sul set la compagna Meryl Streep, che interpreta la fidanzata di Nick e che nella straziante scena del funerale riversa tutto il dolore della perdita dell’uomo che amava. Le valse una nomination all’Oscar, l’ultimo regalo di John, attore immenso mai abbastanza celebrato.

Il cacciatore fu candidato a nove statuette, ne vinse cinque, tra cui miglior film e miglior regia. Cimino mi disse in merito: «Il secondo Oscar lo ricevetti dalle mani di John Wayne, un colosso. Sono cose che non capitano a tutti». No. E spesso sono il colpo solo di una vita intera.