Il gattopardo, i costumi e tutte le curiosità della serie su Netflix

Tutti i numeri su comparse, oggetti di scena e le armi usate sul set

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Il gattopardo

Ha dell’incredibile la forza che continua a esprimere il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa dopo così tanti anni dalla sua pubblicazione (avvenuta postuma nel 1958) e dalla celebre trasposizione realizzata da Luchino Visconti nel film del 1963, eppure l’interesse suscitato dal nuovo adattamento de Il Gattopardo è qui a dimostrarlo. Ma a studiare i numeri della serie tv diretta da Tom Shankland con Laura Luchetti e Giuseppe Capotondi, disponibile su Netflix dal 5 marzo, è evidente come il progetto meriti tanta attenzione.

Anche per la cura messa nel racconto del Risorgimento e della costruzione dell’Italia Unita che emerge da ogni aspetto, in primis dai costumi indossati dai protagonisti della vicenda, dal principe di Salina Don Fabrizio Corbera (Kim Rossi Stuart) e la moglie Maria Stella (Astrid Meloni) alla Concetta di Benedetta Porcaroli e i vari Don Calogero e Angelica Sedara (Francesco Colella e Deva Cassel), Tancredi Falconeri (Saul Nanni) e padre Pirrone (Paolo Calabresi). Costumi per sviluppare i quali c’è voluto circa un anno, come raccontano i loro creatori, gli artisti Carlo Poggioli – che negli anni ’90 collaborò proprio con Piero Tosi, costumista del film già citato, ed Edoardo Russo (Diamanti).

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L’abito faceva il personaggio, allora – racconta al Corriere la Meloni, – e come attrice hai bisogno di sentire la rigidità del bustino o l’aereosità delle gonne“, a conferma di quanto quegli abiti siano stati “il più possibile fedeli all’epoca”. Una caratteristica resa possibile anche dall’incontro dei costumisti con Raffaello Piraino che, a Palermo, nella sua Casa Museo, conserva diversi abiti dei nobili di allora, modelli indispensabili per replicare forme e ricami.

Corpini a punta, nuove tendenze della moda che piano diventano riconoscibili sullo schermo, via via che la storia avanza e passa il tempo, stecche, corpetti, giacche maschili (strette in vita e attaccate alle spalle), stringi pancia e scarpe… tante scarpe. “Abbiamo fatto più di 2000 scarpe nuove e circa 400 abiti”, ha raccontato Poggioli parlando delle circa 50 mise di Benedetta Porcaroli e delle oltre 30 di Deva Cassel. Alcune delle quali potete vedere nei disegni e nelle foto che seguono…

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Per affrontare il lavoro per la serie Netflix Il Gattopardo ho dovuto affrontare due grandi sfide: da una parte un capolavoro come il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dall’altra l’inevitabile confronto con il capolavoro realizzato nei costumi del film di Luchino Visconti dal mio maestro, Piero Tosi – spiega Carlo Poggioli. – Se non avessi avuto lo stimolo di una sceneggiatura splendida e di un regista di spessore come Tom Shankland, probabilmente avrei desistito e oggi, a posteriori, me ne sarei pentito amaramente, perdendo l’opportunità preziosissima di collaborare a un prodotto che saprà raccontare alle nuove generazioni quell’avvincente periodo storico, il Risorgimento e i suoi effetti sulla Sicilia Borbonica, e quella storia meravigliosa che ruota attorno al Principe di Salina. Non posso che essere grato a Indiana Production che mi ha voluto, a Eduardo Russo (co-designer della serie) che, insieme al mio storico reparto, mi ha dato il supporto e il coraggio necessario a seguire i consigli che in sogno mi arrivavano da Piero: ce la farai, mi diceva… e aveva ragione. Insieme, ce l’abbiamo fatta. Il 1860 è un periodo molto particolare della moda italiana (soprattutto siciliana) per la foggia degli abiti, sia maschili che femminili, e per la particolarità dei tessuti. Ho partecipato alla realizzazione di tanti film ambientati nell’800 e conosco bene le disponibilità nelle varie sartorie in Europa, per questo sapevo che con l’esistente non sarei mai riuscito a mettere insieme un numerativo di costumi dell’epoca sufficiente a vestire le oltre 5mila figurazioni e il cast, che doveva rappresentare l’alta aristocrazia. Era quindi necessario, vista l’enorme quantità di costumi nuovi e le migliaia di scarpe e di accessori, organizzare con la produzione un nostro laboratorio interno con molti tagliatori/tagliatrici con tante sarte, assistenti, tintori e invecchiatori, oltre a rivolgerci alle sartorie italiane (ma anche inglesi e spagnole). La maggior parte dei costumi del cast e le centinaia di costumi per le figurazioni, soprattutto per i due balli più importanti, sono stati realizzati dalla Sartoria Tirelli-Trappetti e dalla sartoria Costumi d’Arte, con l’aiuto di Annamode, Slow Costume e tanti altri laboratori artigiani nei quali abbiamo creato una quantità enorme di gioielli, cappelli, scarpe, guanti, ricami e tanti altri accessori. Ardua, poi, è stata la ricerca delle sete necessarie, ormai soppiantate dal poliestere, così ci siamo rivolti ai produttori di tessuti in tutta Europa per realizzare appositamente per la serie ben 3.500 metri di tessuti ricamati in seta e lino. È stata un’esperienza molto impegnativa, che ha portato il reparto costumi sugli incredibili set allestiti in Sicilia, a Roma, a Torino; una fatica ripagata da subito, dalla magnificenza di quelle location, di quei balli, dall’emozione durante la scena dello sbarco dei garibaldini, nel vedere rinascere di fronte ai miei occhi quelle pagine tanto amate del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa”.

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Sono cresciuto guardando i film di Visconti e sognando di realizzare dei costumi che si potessero almeno avvicinare alla bellezza degli abiti del Maestro Piero Tosi e quando Carlo mi ha proposto di collaborare per la serie Il Gattopardo l’emozione è stata fortissima, il peso del confronto anche, ma la sfida entusiasmante – sono state le parole di Edoardo Russo, costumista degli episodi 4, 5 e 6. – Da subito assieme ai registi ci siamo posti l’obiettivo di non snaturare l’epoca ma di cercare una chiave per riproporla al pubblico di oggi. Infatti, pur mantenendo un certo rigore storico – Tutti gli abiti sono indossati con biancherie autentiche e con il corsetto, i tagli e i volumi sono storici e pertinenti, le crinoline sono state ricostruite come all’epoca – abbiamo alleggerito le decorazioni e limitato gli orpelli. Un’altra scelta in questa direzione è stata quella di differenziare gli abiti domestici e più informali da quelli più formali e di rappresentanza eliminando per i primi le crinoline e sostituendole con una sovrapposizione di sottogonne più morbide. La serialità ti concede un arco narrativo più lungo per sviluppare un personaggio. Il grande divertimento è stato proprio creare abiti per tantissime occasioni diverse come balli, viaggi, pic-nic, passeggiate ecc…Inoltre la varietà di situazioni narrate mi ha permesso di realizzare un sogno che era quello di progettare un abito da Amazzone. Questa serie mi ha consentito anche e soprattutto di attingere per i costumi l’inestimabile patrimonio e lascito della famosa Maison Worth cui da sempre traggo ispirazione per i miei lavori e che continuo ad amare e studiare tutt’oggi. In conclusione ho la consapevolezza di aver contribuito proficuamente alla realizzazione di una serie di Alto livello collaborando con grandi professionisti”.

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