Lea Massari, ricordiamoci di lei

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Se n’è andata in silenzio, con grande riservatezza, come aveva d’altronde vissuto gli ultimi 35 anni della sua vita. Aveva 91 anni Lea Massari, una delle attrici più rappresentative di quel meraviglioso momento artistico che ha vissuto il cinema italiano tra gli anni Cinquanta e i Settanta.

Non era una maggiorata fisica, come fu ribattezzata Gina Lollobrigida sulla scia di una battuta di un suo film, né una bellezza dirompente come Sophia Loren. Era un talento diverso rispetto a Monica Vitti, e per diverso non si intende inferiore, ma semplicemente diverso.

Complice anche la sua origine borghese, medio-alta, della Roma di Monteverde, le riusciva naturale interpretare ruoli apparentemente freddi, ma martoriati dentro, caratterizzati da una dignità assoluta, dolorosa spesso, personaggi difficili da affrontare, non banali per un attore.

A Lea Massari venivano bene, anzi, magnificamente

Perché conosceva bene quella costruzione sociale, e anche il dolore di vivere con qualcosa di terribile da portarsi appresso, come la morte dell’uomo che avrebbe dovuto sposare dopo poco più di una settimana a causa di un incidente fatale.

Sono cose che segnano, e che per un’attrice si trasformano in necessaria linfa vitale, per esorcizzare il dolore, trasformarne l’energia in altro.

Certamente meno celebrata di altre, di quelle sopra citate, ma anche di Claudia Cardinale o Virna Lisi, Lea Massari è stata importante quanto loro, seppur meno diva, probabilmente perché in un certo senso trovava la cosa anche sconveniente, o forse, meglio, poco elegante, lei che invece di stile ne aveva, e non solo nel portamento.

Scorrendo la sua filmografia, ben si capisce cosa prediligesse. Scoperta da Monicelli, lavorò con Michelangelo Antonioni ne L’avventura, confrontandosi proprio con la Vitti in un ruolo perfetto per lei. Ha lavorato con Mauro Bolognini, Valerio Zurlini, cineasti raffinati, prediligendo film con un bagaglio esistenziale pesante e potente, come La giornata balorda, scritto da Moravia e Pasolini, o Una vita difficile, uno dei (tanti) capolavori di Dino Risi, in cui Lea Massari offre una prova monumentale nei panni della moglie di Silvio Magnozzi, la migliore maschera d’italiano mai indossata da Alberto Sordi, anche grazie a lei.

Si dice che Fellini le preferì Anouk Aimée in 8 e 1/2 per una questione di make-up

Chi lo sa, e in fondo, cosa importa. Divisa tra Italia e Francia, Lea Massari fa la sua carriera, bella, importante. Rivedere oggi film come La prima notte di quiete, di Valerio Zurlini, regista che molti cineasti italiani contemporanei dovrebbero studiare a fondo, o Cristo si è fermato a Eboli, in cui interpreta con una compostezza ipnotica la signora Luisa Levi, al fianco di un monumentale Gian Maria Volonté, fa ben comprendere la portata di quest’artista.

Che, non a caso, scelse come uno dei suoi ultimi film Segreti Segreti, di Giuseppe Bertolucci, fratello di Bernardo, grande intellettuale che nel bel mezzo degli anni Ottanta non ha paura di confrontarsi con gli anni di piombo in una chiave tutta al femminile.

In questi anni, per non dire giorni e ore, di grande povertà umana e culturale, riscoprire il percorso di Lea Massari attrice fa anche riflettere su quello che eravamo e su ciò che siamo diventati. Motivo di più per ringraziarla e non dimenticarla.