“Lei mi parla ancora”, una storia di amore e di eternità – Intervista a Pupi Avati

Pupi Avati torna dietro la macchina da presa con Lei mi parla ancora scommettendo su Renato Pozzetto in un ruolo drammatico. E ritrovando i suoi amati luoghi senza tempo

0

Un amore struggente che neppure la morte può fermare, il difficile incontro tra due generazioni, il dolore dell’assenza, la dolcezza dei ricordi che regalano immortalità a chi ci ha lasciato.

C’è tutto Pupi Avati in Lei mi parla ancora, liberamente tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Sgarbi, padre di Elisabetta e Vittorio. Scritto dal regista con il figlio Tommaso e prodotto da Bartleyfilm e Vision Distribution con Duea Film, il nuovo film Sky Original, in onda l’8 febbraio in prima assoluta su Sky Cinema e in streaming su Now Tv, scommette su Renato Pozzetto nel suo primo ruolo drammatico e su un prestigioso cast di attori che comprende Fabrizio Gifuni, Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Lino Musella, Chiara Caselli, Alessandro Haber, Serena Grandi, Gioele Dix.

Un matrimonio, una misteriosa lettera, una promessa e sorrisi complici sciolti nella luce calda della memoria danno il via a una vicenda che tra passato e presente racconta due guarigioni. attraverso il confronto tra Nino, affranto per la morte dell’amata moglie dopo 65 anni insieme, e Amicangelo, aspirante scrittore chiamato a scrivere le memorie del vedovo e alle prese con un difficile divorzio.

Avati, com’ è riuscito a fare sua la prima storia non scritta da lei?

Nell’esperienza di Giuseppe Sgarbi ho trovato quella vissuta da alcuni amici, tra cui Florestano Vancini. So bene quanto gli uomini siano impreparati a confrontarsi con l’assenza, con il silenzio dopo una vita insieme. Io stesso ho alle spalle 55 anni di matrimonio e ho il terrore che mi possa accadere qualcosa del genere. Ho fatto totalmente mia questa storia non illustrando il libro o raccontando il contenuto del romanzo, ma privilegiando il confronto tra due generazioni. Lo scontro iniziale si ammorbidisce fino a trasformarsi in una sintonia totale. Il frequentare una persona dotata di tanta saggezza ha un effetto terapeutico sulla vita dello scrittore.

Sembra quasi un film sul suo matrimonio.

È film sul matrimonio di tutti, matrimonio che diventa sempre più importante quanto più lo si vive. Oggi molte unioni si bruciano in pochi anni, mentre il momento più reciprocamente redditizio arriva proprio verso la fine. Mi sono accorto durante la pandemia di quanto sia
importante mia moglie, piena di un’energia e di un coraggio che non le conoscevo. E la
riconoscenza aumenta.

L’amore che dura regala immortalità.

Il tema del film sta proprio in quel “per sempre”, oggi soppresso dal nostro lessico. Io vengo da un mondo in cui lo si diceva impunemente, lo si prometteva, ci si credeva, e non solo in amore.
Adesso invece tutto sembra avere una scadenza. Per questo il titolo che Giuseppe Sgarbi ha
dato al suo libro mi è sembrato così suggestivo e scandaloso. Ho voluto citare il Pavese dei
Dialoghi con Leucò che dice: «L’uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia» perché fa parte della mia cultura tenere in vita le persone che mi sono state vicine attraverso la preghiera. Lo sa che l’ultimo giorno dell’anno nelle stalle si recitava il rosario dei morti?

Quella di Renato Pozzetto è un’altra delle sue scommesse vinte.

Quando sono andato a casa sua, a Milano, per raccontargli il film davanti a un piatto di spaghetti, l’ho visto piangere. Lui, che perso la moglie una decina di anni fa, ha cominciato
a sostituire la sua storia a quella che gli stavo raccontando. Le sue parole erano quelle scritte nel copione che avevo nella borsa. Nei momenti più toccanti sul set ho dovuto trattenerlo perché si commuoveva moltissimo e quando ha visto Stefania distesa sulla barella è stato male. Renato ha messo a disposizione del personaggio.