Ma nuit, la gioventù difficile di Antoinette Boulat

Dalla sezione Orizzonti di Venezia 78, Ma nuit, l’opera prima di Antoinette Boulat, viaggio di una diciottenne per le strade di Parigi in cui si riflettono il dolore e la solitudine di tanti giovani del nostro presente

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Olivier Assayas, Wes Anderson, Leos Carax, Sofia Coppola, François Ozon, Lars von Trier: sono solo alcuni dei cineasti con cui ha lavorato la direttrice di casting Antoinette Boulat (EA Award nel 2015 per Grand Budapest Hotel), che esordisce alla regia di un lungometraggio con Ma nuit, presentato alla 78ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sezione Orizzonti, e nelle sale dal 12 gennaio per No.Mad Entertainment.

La notte cui allude il titolo è quella di Marion, una diciottenne segnata dalla morte della sorella maggiore. È l’anniversario del tragico evento e la ragazza, desiderosa di affrancarsi dalla sofferenza che da allora ha pervaso la sua vita, si immerge nelle vie di Parigi, imbattendosi in un altro giovane solo, Alex. A interpretare i due sono rispettivamente Lou Lampros (Jacky Caillou, A Night Doctor, De son vivant, Médecin de nuit, Madre) e Tom Mercier (visto in We Are Who We Are e protagonista di Synonimes), in un cast che include anche Carmen Kassovitz (Heartbreast, Atomic Summer, A Girl’s Room), Emmanuelle Bercot (vista tra le altre cose in Goliath, Il ballo delle pazze, Polisse, Mon roi e regista di Standing Tall, con cui Boulat ha vinto l’European Casting Award a Locarno nel 2017) e Maya Sansa (David di Donatello per Bella addormentata, Nastro d’argento per La meglio gioventù e di recente in Le mie ragazze di carta, Revoir Paris e Security).

Il film dell’esordiente regista rispecchia il dramma di una gioventù che, tra precarietà, alienazioni, tragedie ed emergenze vecchie e nuove, «sente di aver perduto per sempre la sua spensieratezza, abbandonata in un mondo spezzato», afferma Boulat. La posta in gioco è dunque «la ricerca della libertà, o piuttosto il senso di libertà di una generazione che vive nella paura». E la libertà, dice non a caso la protagonista Marion in una scena, è «la sensazione di non avere paura».

Ma nuit allora, prosegue la filmmaker, «affronta il dolore e il modo in cui esso trasforma, e distorce, la nostra visione del mondo», scegliendo nel farlo «la forma del viaggio sia interiore sia fisico. È come una lontana versione dell’errare mitologico, in cui gli eroi si perdono, si affrontano, alla ricerca di uno scopo stabilito da eventi esterni che loro non riescono a controllare». Non per nulla, il lungometraggio si apre con una citazione da L’anno del pensiero magico della scrittrice Joan Didion: «Le persone che hanno perso qualcuno di recente hanno un certo sguardo, riconoscibile forse solo da chi ha visto quello sguardo sul proprio volto. L’ho notato sul mio viso e lo noto ora sugli altri. Lo sguardo è di estrema vulnerabilità, nudità, apertura».