Monica Bellucci è Anita Ekberg in The Girl in the Fountain: “La bellezza è spesso una maschera”

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“Non ho più 20 anni, né 30 né 40. E neppure 50 a dire il vero”. Monica Bellucci è una delle poche attrici alle quali il tempo che passa appare come un’opportunità più che una condanna. Come occasione per calarsi in ruoli prima preclusi. Per questo non smette di scherzarci su, con ironia e leggerezza, intelligenza e un pizzico di malizia, lasciando intendere che ogni fase della vita ha le sue luci, i suoi doni.

Ospite del Festival di Torino, dove ha ricevuto il Premio Stella della Mole, l’attrice è la protagonista del documentario The Girl in the Fountain di Antongiulio Panizzi, scritto da Paola Jacobbi e Camilla Paternò, in cui interpreta un’attrice chiamata a ricoprire il ruolo di Anita Ekberg in un film. Le sue ricerche sull’attrice svedese saranno l’occasione per scoprire luci e ombre di una diva, la Marilyn Monroe europea,  “annegata” nella fontana de La dolce vita di Federico Fellini. Alla ricerca della donna nascosta dietro l’immagine stereotipata della “ragazza nella fontana”, il film costruisce un dialogo verbale e visivo tra due donne e dive appartenenti ad epoche diverse per onorare la figura di un’attrice che ha pagato un prezzo molto alto per continuare a essere se stessa.

The Girl in the fountain
The Girl in the Fountain (Monica Bellucci)

“La bellezza è spesso una maschera che sacrifica possibilità di espressione – dice Monica – per questo sono grata a quei registi che offrono agli attori possibilità diverse di esprimere il proprio talento. Anche io ho rischiato di rimanere imprigionata nello stereotipo, ma sono stata fortunata a poter continuare il mio percorso grazie ai diversi progetti che mi sono stati proposti. In passato un’attrice dopo i 40 anni doveva dire addio alla propria carriera”. Ma come si diventa qualcos’altro da sé?

“Ci sono due modi per trasformarsi in qualcun altro. C’e una trasformazione fisica, ma è necessario entrare in comunione con il personaggio da interpretare. Con questo documentario abbiamo voluto ridare luce a una donna che si era spenta anche come artista. Ed è grazie alle donne come lei che noi attrici abbiamo imparato a difenderci. Una volta le attrici mature erano costrette a mettere fine alla propria carriera, gli anni che passavano erano la morte sociale, la fine della loro femminilità, e per giunta la Ekberg non poteva godere neppure della protezione di un uomo. Noi oggi invece facciamo il nostro percorso professionale con molta più libertà, abbiamo voce in capitolo nelle produzioni, abbiamo imparato ad amarci e rispettarci, capaci di coniugare il ruolo di attrice, oggetto del desiderio, con quello di madre e di fare emergere quell’energia che va oltre la giovinezza. Viviamo vite vere, non siamo imbalsamate e intoccabili. Interpretando la Ekberg al cinema e la Callas a teatro ho abbracciato, seppure in modo diverso, due personaggi femminili forti, che hanno fatto i conti con il dolore attraversandolo con molta dignità”.