Nella biblioteca di Umberto Eco con Davide Ferrario

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Stanze, corridoi, saloni tappezzati di libri, tra i quali si aggira un amante, collezionista e soprattutto lettore di libri: Umberto Eco nella sua biblioteca privata. Più di 30.000 volumi contemporanei e più di 1.500 libri rari e antichi. Libri grandi, importanti, fondamentali, ma anche curiosi, eccentrici, in qualche maniera magici, cabalistici, stregati. Eco era un divoratore di tutto, compresa la narrativa, nella quale sosteneva non si sarebbe mai cimentato, fino al fatidico 1980 di Il nome della rosa (best seller tradotto in 47 lingue e vincitore del Premio Strega).

Davide Ferrario, che con Umberto Eco aveva collaborato nel 2015 per una videoinstallazione alla Biennale Arte di Venezia un anno prima della morte dello scrittore, ha avuto accesso alla biblioteca grazie alla fattiva collaborazione della famiglia. Ne è nato un documentario che non solo descrive un luogo straordinario, ma cerca di afferrare il senso stesso dell’idea di biblioteca in quanto “memoria del mondo”, come la definiva lo stesso Eco.

«Nel film, uno dei suoi collaboratori storici dice a un certo punto di “aver avuto nella vita una fortuna: conoscere Umberto Eco”. Posso dire lo stesso, quando realizzai nel 2015 una videoinstallazione per la Biennale d’Arte di Venezia con lui protagonista – racconta Davide Ferrario – Fu allora che vidi per la prima volta la sua biblioteca e gli chiesi subito di girare una scena con lui che camminava in mezzo ai libri, la stessa che apre adesso il film. Furono anche le immagini utilizzate dalle tv di tutto il mondo quando, purtroppo, Eco morì un anno dopo. In qualche modo, coglievano il senso di una vita. Da quelle e dal fatto che, contrariamente al suo collaboratore, l’incontro non si era potuto trasformare in una vera frequentazione, nasce questo film, costruito giorno per giorno insieme alla famiglia. Se, per Eco, la biblioteca era una metafora del mondo, la sua personale non era una semplice collezione di libri, ma la chiave per capire le sue idee e la sua ispirazione. E anche il luogo in cui, anche dopo la morte, il suo spirito vive intatto».