Abdulhamid Juma: intervista al fondatore del Dubai Film Festival che porta Hollywood nel cuore del mondo arabo

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È una delle figure più influenti dell’industria cinematografica del mondo arabo: Abdulhamid Juma, fondatore e oggi anche presidente del DIFF (Dubai International Film Festival), ha rivoluzionato il panorama dell’audiovisivo della regione portando nel cuore degli Emirati una manifestazione sempre più ricca di appuntamenti internazionali. Giunta alla 14° edizione, che si conclude il 13 dicembre con l’anteprima di Star Wars: Gli ultimi Jedi, vanta un parterre di ospiti che include il Premio Oscar Cate Blanchett e Sir Patrick Stewart. Sostenuta dalla compagnia aerea Emirates, affianca l’offerta cinematografica ad eventi glamour (come la Lounge con l’eccellenza locale, dalla neonata linea di profumi Arcadia a The Shower Tower Company, che ha trasformato il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa, in una saponetta di design. Non mancano gli appuntamenti charity come il Global Gift Gala che quest’anno ha ospitato il concerto di Luis Fonsi a favore degli abitanti di Puerto Rico, la sua terra durante colpita dal terremoto. Ecco come il visionario Abdulhamid Juma ha raccontato a Ciak quest’evento ormai imperdibile.

Samuel L Jackson riceve il premio alla carriera dal fondatore del Dubai Film Festival Abdulhamid Juma (Photo by Gareth Cattermole/Getty Images for DIFF)

Qual è la sfida maggiore del Festival di Dubai?

Oggi stiamo cambiando la storia del nostro cinema, con una marcia in più che ci permette di raggiungere obiettivi ambiziosi nella metà del tempo, con una strategia ben chiara, che impara dagli errori altrui e sfrutta il know how dell’ambiente. Siamo onesti, non stiamo reinventando la ruota, ma sappiamo riconoscere il talento e il valore della collaborazione tra organizzazioni cinematografiche.

Mi faccia un esempio.

Quando sono in fila ad un festival, mi annoto quello che mi piace. So che ci sono due regole d’oro per far funzionare una manifestazione del gener. Uno: se non conosco la risposta a qualcosa che mi viene chiesto allora la cerco ma soprattutto mi accerto che il principale obiettivo sia aiutare chiunque partecipi. Gli imprevisti accadono, ma bisogna attivarsi per rimediare. Siamo l’unico festival al mondo ad avere una certificazione ISO e non è poco. Ci affidiamo a regole ben precise, che vanno dalla lunghezza del red carpet a quante volte si passa ogni giorno l’aspirapolvere. Ogni dipartimento ha un manuale a cui si attiene e nulla cambia se non previa autorizzazione scritta.

 

Cos’ha di speciale questa edizione?

Il cuore dell’evento resta la promozione del mondo arabo, a cui si aggiunge un’attenzione speciale al mercato che io considero “la cucina” del festival che va a braccetto con l’aspetto glamour. Vogliamo davvero aiutare i film maker a realizzare il loro prossimo progetto.

Cate Blanchett è tornata per il terzo anno. Come mai?
Per il nostro impegno artistico nel coltivare talenti. Morgan Freeman è tornato due volte, lo hanno seguito personaggi del calibro di Richard Gere e George Clooney, e tutti hanno in comune qualità umane eccezionali, usano la voce pubblica per fare la differenza.

E continua la collaborazione con l’Academy Award, il cui presidente è uno dei graditi ospiti di quest’anno.

Nel mondo ci saranno tre mila festival, ma devono connettersi e cercare qualcosa di nuovo. Noi puntiamo su tre collaborazioni illustri, che includono Bafta, Academy Award e Hollywood foreign press a cui ogni anno mandiamo due film arabi perché vengano presi in considerazione per i Golden Globe. Viaggiamo per il maggior numero di manifestazioni cinematografiche in tutto il mondo e non ci fermiamo mai.

Perché?

Il 65% degli arabi nel mondo sono sotto i 25 anni. Ti sei mai chiesta dove nasce l’estremismo? Dalla mancanza di possibilità di espressione. Chi non ha voce reagisce in maniera violenta. Noi offriamo loro una possibilità di raccontare la loro storia, a prescindere che condividiamo o meno il loro punto di vista. Come si dice? Ferisce più la penna della spada.

Alessandra De Tommasi

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