IL FATTO
Una borsa piena di soldi, lasciata nell’armadietto di una sauna e trovata da un inserviente, è l’oggetto che congiunge tra loro le vicende di diversi personaggi in una città portuale della Corea del Sud. Tra i protagonisti anche un doganiere indebitato con un usuraio, una prostituta picchiata dal marito, un immigrato irregolare e una truffatrice.
L’OPINIONE
Tratto dal romanzo omonimo del giallista nipponico Keisuke Sone, il lungometraggio d’esordio di Kim Yong-hoon, Premio Speciale della Giuria al Festival di Rotterdam, fa incontrare gli stilemi del cinema sudcoreano contemporaneo (e il suo sguardo tagliente su una società diseguale e dominata dalla ricerca del profitto) con i topoi del noir postmoderno di Quentin Tarantino e dei Fratelli Coen. E così, pur non aggiungendo elementi di novità alle tradizioni cui si richiama, questo crime grottesco fatto di giochi con i piani temporali e ironia nichilista sulle crudeltà e stupidità umane, casualità e scelte, donne fatali e ambigui poliziotti, criminali balordi e persone coinvolte in intrighi più grandi di loro, potrà soddisfare gli amanti del genere.
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Gli irrinunciabili Pulp Fiction e Fargo (film e serie tv), ma anche l’imprevedibile e affilatissima satira sociale portata avanti da Bong Joon-ho in film come il Premio Oscar Parasite. Per rivedere invece Jeon Do-yeon (qui nei panni della dark lady Yeon-hee) e Youn Yuh-jung (la madre di Joong-man) in altre acclamate interpretazioni, si possono recuperare rispettivamente Secret Sunshine di Lee Chang-dong (Premio per la miglior interprete femminile a Cannes) e Minari di Lee Isaac Chung (Oscar alla Miglior attrice non protagonista).
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