Palazzina LAF, la recensione del film di Michele Riondino sul caso ILVA

Dal 30 novembre al cinema con BIM Distribuzione

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Elio Germano e Michele Riondino, Palazzina LAF

Scritto con Maurizio Braucci in sette anni di lavoro su materiali e testimonianze reali, Palazzina LAF è l’esordio alla regia dell’attore tarantino Michele Riondino, che ha voluto condensare la sua verità sul caso ILVA in una storia vera che rasenta l’assurdo. Il film, in uscita il 30 novembre con BIM Distribuzione, vede protagonisti lo stesso Riondino con Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela e con Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon.

IL FATTO

L’acciaieria dell’ILVA a Taranto è considerata dai residenti uno dei motori dell’economia della regione, nella fabbrica lavorano un gran numero di operai e impiegati residenti della zona, ma nel 1997 alcune gravi criticità di uno dei colossi industriali italiani cominciano ad affiorare. Caterino (Michele Riondino), uomo semplice e rude, è uno dei tanti operai che lavorano in quel complesso industriale. Vive in una masseria con la sua giovanissima fidanzata e sogna di trasferirsi in città. Un giorno uno dei dirigenti, Giancarlo Basile (Elio Germano), lo sceglie come l’uomo giusto per aiutarlo ad individuare quei lavoratori di cui vorrebbe liberarsi. Caterino, irretito dalla promessa di una condizione professionale vantaggiosa, accetta di fare da spia a Basile e viene spedito nella Palazzina LAF, un edificio del complesso in disuso in cui tutti i dipendenti scomodi vengono confinati, privati di ogni mansione, lentamente e cinicamente allontanati dall’azienda. Caterino scoprirà che non c’è alcuna via di uscita da quell’inferno per lui e i suoi colleghi.

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L’OPINIONE

Per molti anni Michele Riondino ha studiato i materiali d’archivio, gli atti processuali e le testimonianze reali di coloro che furono relegati nella famosa Palazzina LAF del complesso dell’Ilva. Mosso dallo stupore nello scoprire retroscena assurdi, al limite del verosimile, ha deciso insieme a Maurizio Braucci, di dedicarsi alla scrittura di una storia che sintetizzasse le tante vicende studiate e ascoltate.

Palazzina LAF è la sua prima opera dietro la macchina da presa e trasuda la passione e tutta la partecipazione emotiva ed intellettuale del regista ad un progetto che lo vede coinvolto anche dal punto vista personale e familiare. Sintetizzare la complessità del caso ILVA di Taranto non era un’impresa facile. I risvolti economici, politici, sociali e, non ultimo, ambientali della vicenda sono molteplici e complessi, ma Riondino sceglie di puntare sull’aspetto umano e, dopo aver raccolto numerose testimonianze, mette insieme personaggi restituiti con pochi, semplici tratti, ma sufficientemente emblematici rispetto ad un contesto articolato.

Non ci sono eroi nel film di Riondino, lo stesso protagonista, Caterino, è un personaggio per cui tutt’al più si prova un misto di disprezzo e commiserazione, che lo scagiona da una condanna completa. Ciascuna storia è tessuta con gli elementi sufficienti a creare un quadro generale piuttosto completo, osservato soprattutto dal punto di vista umano, più che giudiziario, della vicenda.

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È chiaro che a Riondino non interessa offrire soluzioni o trovare un unico colpevole, ciò che il regista realizza, anche e soprattutto con il suo personaggio principale, è un racconto fatto di colori, sentimenti, musiche, che descrive una situazione difficile da spiegare persino in un’aula di tribunale. Rabbia, frustrazione, paura si mescolano ad un senso del grottesco dato tanto dai personaggi e dal loro colorito e spontaneo linguaggio, quanto dalla situazione, drammatica e al tempo stesso tragicomica.

In Palazzina LAF ogni scena è costruita per offrire un dettaglio in più sul quadro generale, cercando di mostrare tanto i soprusi quanto le colpe. Il suo è uno sguardo certamente di parte, ma oggettivamente teso a riconoscere gli errori commessi anche dalla parte lesa. Tanto che lo stesso protagonista è tutt’altro che un personaggio positivo nella storia. Come a voler dare equilibrio ad un panorama in cui le responsabilità non possono essere fatte ricadere su un unico lato della bilancia.

Le musiche di Teho Teardo e la canzone originale “La mia terra” scritta ed interpretata da Diodato, accompagnano uno scenario fatto di ambienti e costumi un po’ retrò, che richiamano un’Italia forse più vintage di quella degli anni rappresentati nel film, quasi a voler sottolineare un ritardo anche storico dei fatti narrati rispetto all’epoca in cui questi stessi sono avvenuti.

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RASSEGNA PANORAMICA
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