#Pesaro58 – “Messa a fuoco”, la Mostra del Nuovo Cinema omaggia Pasolini

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Presentata oggi alla 58ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival l’installazione di Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti, alla Chiesa di Sant’Ubaldo fino al 25 giugno

Tra i molti omaggi che la 58ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival sta riservando a grandi figure della settima arte e della cultura in genere, c’è quello a Pier Paolo Pasolini (nel centenario della nascita), in cui s’inserisce l’installazione Messa a fuoco, di Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti, presentata il 23 giugno e visitabile fino al 25 presso la Chiesa di Sant’Ubaldo dalle 18.30 alle 20.

Un’opera che fa parte del ciclo ESSO: SHADOWS OOZING GOLD (vincitore della X edizione di Italian Council) e che, racconta Franceschetti, prende le mosse dalla visita, cinque anni fa di un casolare contadino nel ravennate, «in ristrutturazione, completamente svuotato, senza infissi», dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, i fascisti avevano sterminato delle famiglie che davano rifugio ad alcuni partigiani. Da lì parte una ricerca dei due artisti sul regime del Ventennio e sulla figura di Mussolini, il cui cadavere a Piazzale Loreto fu appeso alla pensilina di un distributore della Esso.

Da qui «il cortocircuito tra fascismo e petrolio», che in una emblematica e inquietante costellazione di rimandi («succede tutto al di fuori della nostra volontà», commenta al riguardo Franceschetti) rimanda proprio a Pasolini, con la sua ultima, incompiuta, anomala ed estrema opera narrativa sul Potere, Petrolio, appunto. Alla cui composizione – che vede indagini dell’autore sulla figura dell’allora Presidente della Montedison Eugenio Cefis, sulla morte di Enrico Mattei e sulla strategia della tensione in Italia – sono in molti ormai a ricondurre il vero movente dell’omicidio del poeta-regista nel 1975.

Il ciclo di ESSO, dunque, si chiude con Pasolini, a Pesaro. Un connubio che rinnova quello del 2020, quando Carloni e Franceschetti realizzarono la sigla della 56ma Mostra del Nuovo Cinema, incentrata proprio su Pasolini, di cui si rievocava la forte tensione cristologica del personaggio e della sua opera, fra le immagini dei chiodi e i martelli (ovvero le lettere) della macchina da scrivere: elementi di una “crocifissione” che il poeta subì in più di un senso.

Non a caso, lo stile di Carloni e Franceschetti, fatto di accostamenti di materiali contrastanti e ricontestualizzazioni provocatorie, ha molto in comune con il procedimento pasoliniano: «Lavoriamo molto sugli opposti», sottolinea Franceschetti. E di opposti è fatta anche Messa a fuoco, che sembra tradurre il dualismo sacro-profano della poetica di Pasolini in forme concrete.

Un’immagine dell’installazione “Messa a fuoco”.

Come quella delle ostie che galleggiano sulle bocche delle taniche di petrolio, o del proiettore cinematografico (posato al centro di un altare) che illumina le centinaia di bucce di banane deposte e allineate su un telo isotermico. A rappresentare la tragedia dei migranti morti, respinti e vessati, provenienti dall’Africa (e non solo), alludendo criticamente anche alla volgarità degli stereotipi sui chi proviene da quei Paesi. Una realtà, quella dell’immigrazione contemporanea in luoghi come l’Italia, che Pasolini aveva anticipato sessant’anni or sono nella poesia Profezia, e di cui Messa a fuoco, precisa Franceschetti, rappresenta «una visione allucinatoria».

Ma tutto Messa a fuoco è allegoria “pasoliniana”: del suo «approccio “miracoloso” alla realtà» (afferma Carloni), espressione di una religiosità lontana da ogni formalizzazione confessionale e clericale. E ritroviamo altri cortocircuiti sorprendenti, come quello che gravita intorno alla parola “ostia”, pane sacro dei cristiani ma anche nome del luogo dove Pasolini fu assassinato. Le ostie del rito, rimarcano Carloni e Franceschetti, hanno tra l’altro un diametro standard di 35 mm, come la pellicola cinematografica (ed è un proiettore 35 mm, non a caso, quello dell’installazione).

E si respira, qui e nel resto del ciclo ESSO, lo scontro irriducibile del poeta con quel «nuovo fascismo» dell’Italia di allora (e di oggi), che come ricorda ancora Carloni, pertiene «non al fascismo storico ma al neofascismo, quello dell’omologazione», in una società dove il capitalismo consumista ha umiliato in modi ancora più subdoli e pervasivi la dignità e i diritti degli esseri umani. Come ci conferma quella strage senza fine di migranti, di cui l’opera esposta a Pesaro ribadisce l’inaccettabilità.