Pierfrancesco Favino racconta il suo colibrì 

Favino è il protagonista de Il colibrì, il film di Francesca Archibugi presentato oggi alla Festa del Cinema di Roma

0
Pierfrancesco Favino, Il colibrì

Il colibrì è un piccolo volatile che mette tutte le sue energie per restare fermo in un unico punto ed è esattamente quello che fa Pierfrancesco Favino nei panni di Marco Carrera, protagonista del film di Francesca Archibugi tratto dall’omonimo romanzo di successo di Sandro Veronesi, vincitore del premio Strega 2020. Il film apre oggi la diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma e sarà in sala dal 14 ottobre con 01 Distribution.

Colibrì è il soprannome che la madre del protagonista della storia dà al figlio da bambino per via del suo fisico esile, ma sembra adattarsi perfettamente anche alla vita da adulto di Marco, il quale pare impiegare tutte le sue energie per restare ancorato al punto esatto in cui si trova.

LEGGI ANCHE: Il colibrì di Francesca Archibugi, “la vita così com’è”

Io non credo che Marco sia un uomo immobile – spiega Favino -, in lui mi ritrovo molto, entrambi siamo legati alle cose per le quali pensiamo valga la pena vivere. Si tratta di un’attività energetica molto dispendiosa, ma non penso che tenersi ancorati a ciò che noi riteniamo importante sia un atto di viltà, al contrario“.

Al centro di un racconto, che procede con la forza dei ricordi passando da un’epoca all’altra seguendo il flusso delle emozioni, c’è sempre Marco, interpretato con grande partecipazione da Pierfrancesco Favino che dice del suo personaggio: “È un uomo circondato da donne come me, che mette sempre gli altri prima di sé ed è una caratteristica che sento molto vicina. Mi piace il fatto che la sua sia una maschilità che non ruota attorno all’ossessione della sessualità, è un elemento con cui mi sento in armonia“.

Il film di Archibugi segue quasi fedelmente il romanzo di Veronesi, che lo stesso Favino dice di aver molto amato in modo particolare per alcuni aspetti del suo personaggio: “Il romanzo mi è piaciuto moltissimo per tanti motivi, ma soprattutto perché si parla di un tipo di mascolinità che non viene molto spesso raccontata, composta anche da un aspetto che tendenzialmente noi siamo abituati a definire come femminile“.

Il personaggio di Marco ne Il colibrì impara a conoscere se stesso attraverso gli altri e le situazioni da cui è travolto. Persone, luoghi, eventi a mano a mano contribuiscono a comporre un quadro sempre più completo di lui e al tempo stesso sempre più sfuggente rispetto a definizioni stereotipate.

A proposito dell’identità, con profonda convinzione Favino sottolinea: “Io non ho mai sentito una vera distinzione tra uomo e donna. Credo che lo sforzo collettivo debba essere quello di raccontare gli esseri umani per descriverne la complessità in generale. Marco è un uomo come tanti. Io credo poco all’identità e non solo quella di genere. È comodo definire una persona con una certa etichetta perché è più breve, ma personalmente io stesso non saprei dire di me come sono. Faccio un mestiere che mi mette sempre in crisi rispetto a quella che potrei pensare possa essere la mia definizione“.