Questo mondo non mi renderà cattivo, il ritorno di Zerocalcare | INTERVISTA

L’autore satirico firma la sua seconda serie animata, su Netflix dal 9 giugno, «più lunga, complessa e rischiosa di Strappare lungo i bordi»

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Zero, Sara, Secco, l’Armadillo e ora anche Cesare. Zerocalcare ha alzato l’asticella, ha imparato dall’esperienza di Strappare lungo i bordi e ha creato Questo mondo non mi renderà cattivo, la nuova serie disponibile su Netflix dal 9 giugno, prodotta da Movimenti Production con la collaborazione con BAO Publishing.

Sei gli episodi, stavolta di mezz’ora ciascuno, ambientati nella periferia romana, dove torna a vivere un vecchio amico di Zero, Cesare, in cerca di un posto nel suo micromondo complesso, in cui ormai la gente non fa altro che la guerra agli immigrati. «Avevo in testa questa storia da prima di Strappare lungo i bordi – racconta a Ciak Michele Rechperò all’epoca mi sono reso conto che non ero in grado di farla, era un tipo di narrazione che non conoscevo, la mia esperienza di animazione era legata soltanto ai corti brevi di Rebibbia Quarantine. Non riuscivo a mantenere il ritmo, quindi ho fatto Strappare lungo i bordi perché mi sembrava che fosse qualcosa in cui stavo un po’ più nella mia comfort zone».

Ed è stato un successo.
È andato ben oltre qualsiasi aspettativa, quindi chiaramente dopo sono andato in panico, a una parte di me pesava il fatto che si potesse dire che avrei fatto una cosa simile, dall’altra volevo provare a misurarmi con qualcosa di più complicato, sia in termini formali, con puntate più lunghe, sia a livello di contenuto, con qualcosa che rischiava di essere un po’ più divisivo. Tutto sommato valeva la pena provare a fare qualcosa che effettivamente spostasse l’asticella più in là.

Stavolta senti una responsabilità maggiore?
Quando lavoro da solo so esattamente come uscirà fuori quel che faccio, controllo tutto, stavolta invece mi sono affidato a una serie di figure professionali che hanno colmato le mie lacune, sono entrato in un terreno che conoscevo molto meno.

Come racconti questa nuova serie a chi sta leggendo questa intervista?
È una serie che parla del ritorno di un mio amico nel quartiere dal quale mancava da quasi due decenni e delle difficoltà che Cesare trova nel cercare di ritrovare un posto nel mondo, visto che è andato avanti e le persone che ha lasciato stanno ognuno allo sbando per conto proprio.

I tuoi amici, Sara e Secco che evoluzione avranno?
Cambiano abbastanza, il mio obiettivo era che in questa serie i personaggi fossero tutti tridimensionali, anche per i tempi più lunghi a disposizione. In Strappare lungo i bordi, Sara era l’archetipo della persona giusta e giudiziosa, a Secco invece non gliene fregava niente, ma stavolta volevo che avessero tutti delle contraddizioni e delle sfumature, le cose che poi ti rendono umano e non un blocco di granito. Anche a Secco ho cercato di dare un suo spessore.

Quando scrivi ti poni dei limiti di censura oltre i quali non andare?
Da sempre, da molto prima che questa roba diventasse un dibattito, ho sempre usato un sacco di parolacce, ma non ho mai usato né per i miei personaggi, né nella vita vera, parole che in qualche modo richiamassero all’immaginario sessista, omofobo o razzista. Il problema è che quando nella serie invece parla un personaggio che magari è razzista o omofobo, la scelta di come farlo parlare è più complicata. Credo che ci serva una riflessione collettiva su questo, manca uno spazio di mezzo tra quelli che strillano che non si può più dire niente e quelli che fanno le gogne su Internet. Servirebbe una discussione non rispetto alla società, ma rispetto a chi fa il mestiere di narratore, perché temo che ci sia ancora una zona grigia da affrontare.

Ti elenco delle possibili critiche una volta uscita la serie. La prima: Zerocalcare è contro la politica degli immigrati del governo Meloni.
Questa serie nasce cinque anni fa. I tempi dell’animazione non avrebbero mai permesso che fosse una risposta alle politiche dell’ultimo governo.

Hai anticipato non solo argomenti come la sostituzione etnica, ma anche la centralità di personaggi come Massimo Giletti che nella serie definisci il tuo «eroe morale, un gran professionista».
Ho sempre avuto il pallino di Giletti.

Prossima critica: Zerocalcare continua a parlare romano.
Questa storia è ancora di più ambientata a Roma, cambiare accento sarebbe stato ridicolo.

Altra critica possibile. Il cartello appeso in gelateria recita: «La panna non si paga perché mica semo a Milano». I milanesi potrebbero risentirsi.
Più che altro i gelatai.

Questo del cartello in gelateria è uno dei tanti dettagli della serie. Sembrano fondamentali nel tuo racconto.
Da una parte sono una cosa che rende più vero l’ambiente, gli danno un po’ di identità, dall’altra sono cose in cui si possono divertire tutti quelli che lavorano alla serie. Ci sta che ci siano dettagli aggiunti da qualcuno e che solo una sua ristretta cerchia di amici riesca a cogliere.

Cosa ti auguri che lo spettatore dica una volta finite le sei puntate?
Non ne ho idea, la cosa che mi spaventa di più è che dicano che ho provato a rifare la stessa cosa di prima, ma male. E poi la cosa che ho cercato in tutti i modi di evitare, anche prendendomi in giro durante le puntate, è che qualcuno dica che voglio insegnare agli altri a campare.

L’Armadillo non poteva avere altra voce che quella di Valerio Mastandrea?
Non ricordo se ho chiesto a Mastandrea di farla o se è stato lui a chiederlo a me. Anni fa, prima ancora che Netflix fosse coinvolta, quando cominciavo a scrivere questa storia, ho chiesto a Valerio se voleva fare la voce di Cesare, ma mi ha risposto che non poteva perché già faceva l’Armadillo, anche se non ne avevamo mai parlato.

Nella serie arriverà anche un altro attore di cui il pubblico riconoscerà subito la voce. Anche in quel caso è nato prima il personaggio e poi la voce o il contrario?
Lo avevo incontrato su un treno per caso, mi aveva detto che gli era piaciuto Strappare lungo i bordi e che gli sarebbe piaciuto fare un cameo, forse per cortesia. Poi quando l’abbiamo chiamato davvero, ha accettato subito, quindi non era solo per cortesia. Il suo personaggio esisteva già, ma le sue battute sono state riscritte pensando a chi le avrebbe recitate.

Non posso non chiederti dell’evoluzione dell’espressione usata da Secco: «S’annamo a pijà il gelato».
Mai avrei pensato che sarebbe stata la cosa più ricordata della serie, quindi poi ci ho giocato, perché effettivamente era diventato un tormentone.

Ci sarà una terza serie?
Vediamo come va questa, non ho la minima idea di quale accoglienza avrà.

Cosa direbbe l’Armadillo di questa intervista?
Che tutto sommato abbiamo schivato le cose troppo pericolose, che forse sulla parte del linguaggio e della censura possono arrivare delle rotture di cazzo, ma per il resto siamo abbastanza tranquilli.