La stampa lo accoglie con gli applausi e con il suo tono di voce sussurrante Woody Allen risponde alle domande sul suo film Coup de Chance, in cui fortuna e morte si incrociano. «Come in Match Point anche qui si parla di quanto sia capricciosa la fortuna e di quanto influenzi la nostra vita – ammette – Sono sempre stato molto fortunato nella vita, ho avuto due genitori che mi amavano, ottimi amici, un matrimonio meraviglioso, figli, compirò 88 anni tra breve e non sono mai stato in ospedale, né mi è successo nulla di terribile. Come regista ho ottenuto rispetto e attenzione, e spero che continuerà». È meno ottimista quando l’argomento vira sulla morte. «Non c’è nulla che si possa fare contro la morte, è una brutta cosa che esiste, tutto quello che possiamo fare è non pensarci e distrarci».
Nel film i personaggi femminili sono tratteggiati alla perfezione. «Ho sempre scritto meglio per le donne non so perché – confessa – Forse perché gli scrittori che mi hanno influenzato come Bergman hanno scritto per le donne. Non sono mai stato bravo a scrivere ruoli maschili, eccetto quelli per me». La scelta di girare il film in Francia e in francese è stata mirata. «Da giovane i film che mi hanno impressionato erano tutti europei – aggiunge – Tutti noi volevamo esser europei, all’inizio volevo parlare di due americani a Parigi, ma il mio cinquantesimo film ho preferito ambientarlo in Francia e in francese, mi sono sentito un regista europeo genuino». Per scrivere i suoi film non ha mai cambiato metodo. «La mattina mi sveglio, faccio gli esercizi, colazione, mi sdraio sul letto e scrivo, quando finisco scrivo tutto a macchina – confessa – Ci sono cose che si imparano all’inizio e poi non si impara più nulla, perché il resto dipende dalla tua ispirazione». Nel suo futuro cinematografico potrebbe esserci ancora New York. «Se qualche folle lo finanzierà obbedendo a tutte le mie limitazioni lo girerò». Vittorio Storaro è per la quinta volta alle luci di un film di Allen. «Non sono un direttore della fotografia – dichiara polemico – Sono un autore della fotografia cinematografica, Venezia deve imparare ad aggiornarsi: questi sono nomi di 50 anni fa, il direttore su un set è il regista».