CONSPIRACY – LA COSPIRAZIONE

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La troppa ambizione metterà nei guai il giovane avvocato Ben Cahill. La fidanzata del corrotto boss dell’industria farmaceutica Arthur Denning, sua girl friend ai tempi dell’università, lo contatta, non solo per saggiarne la fedeltà coniugale, ma anche per passargli una chiavetta contenente le prove di una frode che è costata la vita anche di qualche paziente. Forte dell’informazione, ottiene dal suo capo Charles Abrahams il mandato per un caso penale che inchiodi il miliardario (“hai bisogno di una sentenza a nove cifre o te ne vai a cercare un altro lavoro”). Ma il piano non sarà esente da rischi: intimidazioni, violenze, morti sospette, sviluppi non preventivabili, con troppi elementi oscuri e qualche colpevole di troppo.

Sceneggiatore e produttore tv, il giapponese di Chicago Shintaro Shimosawa esordisce nella regia, con due star di primissima grandezza come Hopkins e Pacino (per la prima volta insieme) a spalleggiare il protagonista Josh Duhamel (rivelazione di Transformers), di poca personalità ma forse proprio per  questo adatto a personaggi costituzionalmente ambigui. La morale è quella di tanti incubi noir, anche nel legal thriller, più volte enunciata e ribadita: “si agisce scorrettamente per le giuste ragioni”. Ma il regista, forse intimidito da tanto parterre di rois a disposizione, più che cercare la suspence (che pur non mancherebbe, date le complicazioni, alcune al limite del probabile, del caso) fa soprattutto illustrazione.

Gira lento, con carrellate ponderate, tra scenografie a tinte coordinate sul giallo-bruno, in un ambiente così di ceto alto-borghese da smontare anche le scene di violenza quando capitano e i personaggi, dai principali ai contorni, non brigano per farsi ricordare. Vedibile sicuramente, ma anche occasione parzialmente mancata visto il livello del cast, in cui spiccano in retrovia  nomi conosciuti come Julia Stiles, Alice Eve, Malin Akerman e un beniamino del Far East Festival come il coreano Byung-hun Lee (entusiasmante, prima della sua carriera occidentale, in Bittersweet Life, Il buono, il matto, il cattivo, oltre al più grande successo del cinema coreano dal titolo, per noi impronunciabile, di Gongdong gyeongbi guyeouk JSA, diretto dal grande Park Chan-wook).