Fu il primo e ultimo processo per plagio mai svolto in Italia, quello intentato negli anni ’60 ad Aldo Braibanti, scrittore, poeta e drammaturgo, segnò un punto di svolta nella cultura e nella storia giuridica del nostro Paese rispetto al tema dell’omosessualità. Il regista Gianni Amelio (Hammamet, 2020) ha voluto dare al caso Braibanti forma narrativa sul grande schermo con un film, Il signore delle formiche, presentato in anteprima alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e dall’8 settembre in sala con 01 Distribution.
Nel film un ottimo Luigi Lo Cascio interpreta il poeta accusato di plagio, mentre un attraente Elio Germano veste i panni di un giornalista dell’Unità incaricato di seguire il processo, che nella compostezza del suo personaggio riesce più di tutti ad offrire quel coinvolgimento emotivo che la storia e il tema meritano. Il signore delle formiche, più che soffermarsi sul personaggio principale, appassionato tra le altre cose di mirmecologia (lo studio della vita sociale delle formiche), inserisce la sua figura e la sua storia in quadro di considerazioni sociali e culturali più ampio, che investe anche i gironi nostri.
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La storia prende le mosse dal primo incontro di Braibanti con un giovane universitario, Ettore (Leonardo Maltese), con cui instaura subito un forte legame intellettuale prima e personale poi. La loro relazione attira l’attenzione della famiglia del ragazzo, che contrariata denuncia il poeta, già poco amato per le sue idee, per plagio e costringe Ettore a trattamenti psichiatrici disumani pur di dissuaderlo dalla sua affezione verso Brabanti e dal suo orientamento sessuale.
Sullo sfondo della vicenda, che sintetizza le varie fasi del processo attraverso le testimonianze dei personaggi in aula, si muovono il giornalista Ennio (Elio Germano) e Graziella (Sara Serraiocco), giovane attivista politica che manifesta in favore di un cambiamento culturale e che in un certo senso incarna i primi passi del Partito Radicale.
“Dietro una facciata permissiva, i pregiudizi esistono e resistono ancora, generando odio e disprezzo per ogni ‘irregolare’. Non abbiamo sconfitto certi demoni che erano e tutt’ora sono all’interno della società perbenista”, dice il regista Gianni Amelio, che ha raccontato con personale partecipazione questa storia a suo avviso purtroppo più attuale di quanto non sembri.
Amelio ricostruisce perfettamente un’epoca non solo dal punto di vista della sceneggiatura, dei costumi e degli ambienti, ma soprattutto dal punto di vista ideologico e culturale. Mostra con mano sicura tutte le storture del pensiero di una certa parte della società in quegli anni. Storture come il brutale trattamento sanitario psichiatrico riservato agli omosessuali e il linguaggio usato dai personaggi, specchio di un pensiero che non conosce rispetto della persona e passa dalla censura all’offesa.
Ad Amelio bisogna riconoscere il merito di aver saputo proporre un tema ancora oggi importante e vivo attraverso il racconto di una storia che solo all’apparenza sembra lontana dai giorni nostri, rendendo in questo modo il contenuto del suo messaggio ancora di maggiore impatto.
A fronte di un tema culturale e sociale che attraverso un racconto ben costruito riesce a toccare nello spettatore tanto le corde ideologiche quanto quelle più emotive, manca però forse nei personaggi una certa capacità empatica, spesso sfiorata, ma non pienamente raggiunta.