LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI – DRAGON BLADE

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Lungo la via della Seta, la legione romana, comandata da Lucio a protezione dell’accecato giovanetto Publio e inseguita dal feroce Tiberio, incrocia una squadra di soldati cinesi incaricata di restaurare e difendere quelli che sono chiamati I cancelli delle Oche selvatiche. Tra il valoroso Lucio e il comandante della guarnigione asiatica Huo An, dopo uno scontro iniziale, si stabilisce un rapporto di stima e amicizia, fondamentale quando sopraggiungerà il terribile Tiberio e il suo sterminato esercito intenzionato a disfarsi di Lucio e Publio e magari invadere anche la Cina.

Che Romani e Cinesi fossero entrati in contatto è più che un’ipotesi, qui sotto l’impulso del simpatico e dinamico Jackie Chan (motore molto mobile del kolossale progetto) arrivano a uno scontro che assume le forme quasi di invasori imperialisti contro le nazioni unite alleate (sono infatti 36 le etnie coalizzate per respingere i dispotici latini). Da Hollywood provengono John Cusack (il romano buono) e Adrien Brody (zazzeruto e fetente), ma lo schema è rigorosamente made in China, con un sovrappiù di ingombrante moralismo pacifista (che è tipico di Chan, anche se di solito lo stempera con piacevole senso dell’humour) francamente quasi stucchevole (per tacere delle caratterizzazioni romane, ai nostri occhi implausibili persin più di quelle dei vecchi sgangherati spaghetti peplum). Fatto salvo il mestiere delle travolgenti coreografie action (premiate giustamente agli Huading Award), un polpettone che è parzialmente gradito solo ai palati assuefatti alle pellicole belliche Made in Far East (tra cui peraltro si collocano anche svariate produzioni straordinarie, come La battaglia dei tre regni di John Woo, tanto per citare un titolo distribuito anche da noi), così legnoso nel disegno psicologico dei personaggi da diventare quasi un divertissement da godere per il suo involontario umorismo kitch. E sì che Daniel Lee aveva nel genere firmato di molto meglio, come quel Three Kingdoms (2008) con Andy Lau e Maggie Q.