“Loveless”, il capolavoro russo che corre verso l’Oscar: la recensione

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Francia, 2017 Regia Andrey Zvyagintsev Interpreti Maryana Spivak, Alexei Rozin, Matvey Novirok Distribuzione Academy Two Durata 2h e 8’

Al cinema dal 6 dicembre 2017

IL FATTO – Boris e Zhenya sono nel pieno di un divorzio particolarmente astioso, in cui nel disprezzo ci si insulta e ci si rinfaccia tutto, persino su chi deve accollarsi il figlio dodicenne, Alyosha (“Gli piace il campeggio? Gli piacerà il collegio. In attesa del servizio militare”). Entrambi stanno costruendosi una storia parallela e quando improvvisamente il ragazzino scompare, inizialmente sembrano più occupati a usarlo come motivo in più per litigare. Ma i giorni passano, Alyosha non si trova nonostante gli sforzi di una attrezzatissima squadra speciale di volontari. E cresce l’angoscia e la paura.

L’OPINIONE- Se la vecchia Unione Sovietica brillava per squallore (almeno nelle descrizioni cinematografiche), la nuova borghesia ipertecnologizzata sembra pure messa peggio, con un lavoro che aliena e produce nuovi schiavi (almeno mentalmente). In un atroce spersonalizzazione di desideri e sessualità, in un tripudio di telefonini, messaggini e selfie, ben pochi si salvano l’anima. Non i due genitori, non la nonna balenga e cattiva (che il genero chiama nostalgica di Stalin e probabilmente è vero), poco una polizia malmostosa, giusto l’abnegazione disinteressata dei ricercatori.

Andrey Zvyagintsev (classe 1964) aveva già “fulminato” Venezia con Il ritorno nel 2003 (Leone d’Oro), Cannes con Elena nel 2011 (Premio Un Certain Regard) e ancora la Croisette con Premio alla sceneggiatura (più un Golden Globe per il Film Straniero a New York) per Leviathan nel 2014. Ora con Loveless (Senza amore) fa poker avendosi preso meritatamente il Premio della Giuria a Cannes. Una storia agra, condivisibile in tutti i paesi industrializzati, che parte (sembra) come un mélo innevato, prosegue come un thriller e finisce allargandosi a una visione metaforica dell’intera società, terribile nella sua evidenza: la donna, Zhenya, inquadrata frontalmente da una camera fissa, corre ferma sul posto su un tapis roulant, indossando una tuta d’atletica in cui spicca la scritta Russia; poi l’inquadratura si fa ravvicinata sul suo volto e lei ci guarda, stranita, attonita, enigmatica. Una scena magistrale come tutta la forma di questo racconto scabroso quasi all’altezza di un capolavoro epocale (per esserlo gli manca proprio forse quel tocco di leggerezza che a volte pare quasi casuale, che aggiunge nuovi percorsi di senso e che caratterizza i fuoriclasse). Ovviamente è il film candidato agli Oscar 2018 per la Russia.

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