L’ULTIMA PAROLA: LA VERA STORIA DI DALTON TRUMBO

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Trumbo, Usa, 2015 Regia Jay Roach Interpreti Bryan Cranston, Diane Lane, Helen Mirren, Louis C.K., Elle Fanning Sceneggiatura John McNamara Produttore Monica Levinson, Michael London, Nimitt Mankad, John McNamara, Shivani Rawat, Jay Roach, Janice Williams Distribuzione Eagle Pictures Durata 2h e 4′

In sala dall’

11 febbraio

La storia di Dalton Trumbo, che passò nel 1947 da “lo sceneggiatore e scrittore più pagato al mondo” a 11 mesi di prigione nel 1950, condannato per essersi rifiutato di rispondere al Congresso che lo accusava di comunismo e attività anti-americane. Una persecuzione che non terminò – per lui e altri intellettuali – neppure dopo la scarcerazione. Disprezzato e ostracizzato, bollato come traditore da quasi tutta la nazione, per anni si ingegnò a lavorare sotto pseudonimo, vedendo addirittura due sceneggiature sue premiate con l’Oscar (Vacanze romane e La più grande corrida), ma sempre a schiena dritta, contando solo sull’affetto dei familiari e di pochi colleghi a lui solidali. Una situazione assurda che evaporò solo nei ’60, grazie anche alle offerte di Kirk Douglas per Spartacus e Otto Preminger per Exodus.

Una delle pagine nere della Storia degli Stati Uniti rivive in questa biografia che vorrebbe contemporaneamente indignare ed emendare (del resto gli Americani sono sempre espliciti a battersi il petto a cuore aperto e a chiedere scusa decenni se non centinaia di anni dopo), tradizionale e corretta. Ai cinefili doc solleticherà il gioco (ci somiglia-non ci somiglia) delle star rifatte sullo schermo: tra cui Edward G. Robinson (il tormentato Giuda), Hedda Hopper (firma del giornalismo pettegolo dal dente avvelenato, qui resa superbamente glaciale da Helen Mirren), John Wayne (cowboy anticomunista anche fuori dallo schermo), Frank King (il produttore di B movie che osò utilizzare Trumbo in quegli anni, un John Goodman strabordante), Otto Preminger (il sardonico e apparentemente distaccato maiuscolo regista tedesco), Kirk Douglas (liberal tanto pragmatico quanto deciso). Gli appassionati di Storia troveranno conferme documentarie nei vari inserti dei filmati d’epoca, quelli del dramma psicologico nell’attenzione che il regista Jay Roach (arrivato così dalla commedia anche un po’ grossolana di Austin Powers o Mi presenti i tuoi) riserva ai lati sentimentali di un uomo dal carattere ispido come le sue battutacce, “un radical che vive come un uomo ricco” senza vendersi l’anima. Risaltano così la forza d’animo della moglie (una luminosa Diane Lane: del resto dietro – anzi di fianco e spesso davanti – a un grande uomo c’è una grande donna), gli scontri caratteriali con la figlia maggiore, pur così tanto simile a lui, le dolorose sensazioni dell’abbandono e quelle balsamiche del perdono generale (“siamo stati tutti vittime di un periodo malvagio”). Bryan Cranston (Breaking Bad in tv) raccoglie encomi per la sua impeccabile aderenza lungo l’evoluzione temporale del personaggio (visto dai 40 anni – un po’ coi capelli tinti – alla vecchiaia) e la sua candidatura agli Oscar, per quanto sorprendente non è peregrina.

Massimo Lastrucci