VULCANO

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Ixcanul, Guatemala/Francia, 2015 Regia e sceneggiatura Jayro Bustamante Interpreti Maria Merdeces Coroy, Maria Telon, Manuel Antun, Justo Lorenzo, Marvin Coroy Produzione Marina Peralta, Pilar Peredo, Edgar Tenenbaum, Jayro Bustamante Distribuzione Parthenos e Lucky Red Durata 1h e 30′

In sala dall’ 

11 giugno

Maria, una ragazza maya di 17 anni, vive e lavora con i suoi genitori in una piantagione di caffè alle pendici di un vulcano attivo, in Guatemala. Nonostante sogni di andare nella “grande città”, la sua condizione non le permette di cambiare il proprio destino: a breve la aspetta un matrimonio combinato con Ignacio, il supervisore della piantagione. L’unica via d’uscita si chiama Pepe, un giovane raccoglitore di caffè che vorrebbe andare negli Stati Uniti. Maria lo seduce per fuggire insieme a lui, ma dopo promesse e incontri clandestini, Pepe se ne va e la abbandona incinta. Più tardi, il morso di un serpente la costringerà a raggiungere quel “mondo moderno” che ha sognato così tanto, e che le salverà la vita. Ma il prezzo che dovrà pagare sarà altissimo.

Al principio era una storia vera, ovvero il traffico di minori di cui sono vittime le comunità guatemalteche sugli altipiani, dove il rapimento di bambini (circa 400 all’anno, secondo le stime dell’Onu) non è un segreto. Il Guatemala si è così guadagnato il triste primato di principale paese esportatore di bambini nel mondo. Una tremenda realtà che il regista ha appreso molti anni fa, attraversando quei territori insieme alla madre che, impegnata a convincere le donne maya a vaccinare i propri figli contro la polio, aveva scoperto il coinvolgimento di alcuni funzionari sanitari pubblici nel sequestro di bambini. Da qui nasce la riflessione dell’esordiente Jayro Bustamante su miti, riti, superstizioni e contraddizioni di un mondo ancestrale, dove tradizioni e rituali si tramandano immutabili di madre in figlia. E dove l’armonia tra esseri umani e natura, per quanto aspra ed ostile, viene messa a repentaglio da una visione del mondo cinica e materiale. Vulcano che all’ultimo Festival di Berlino ha ricevuto il premio Alfred Bauer per le innovazioni del linguaggio cinematografico, può contare sulla forza, la verità, la poesia e lo spessore delle immagini senza ricorrere a un approccio documentaristico.

Il racconto si costruisce poco a poco, immergendo lentamente lo spettatore nella pacifica e misera vita quotidiana di una famiglia di contadini attraverso i loro gesti, le loro tradizioni, la loro lingua, mostrando il profondo legame di quelle popolazioni con il vulcano locale. Un processo di avvicinamento a un mondo misterioso ottenuto anche grazie a un metodo di lavoro adottato dal regista, con un occhio a Terrence Malick e l’altro a Michael Haneke, Bustamante ha infatti organizzato dei laboratori all’interno delle comunità maya per far sì che le persone si confrontassero sui problemi sociali e sulle esperienze a loro vicine. La struttura narrativa del film parte proprio dalle storie ascoltate, una in particolare, quella della vera Maria, che non poteva non essere raccontata, perché il suo destino è quello di molte altre donne. Durante quegli incontri il regista ha insegnato ai membri delle comunità a diventare attori per il suo film, ma non tutti hanno accettato di farne parte.

Il dramma del traffico dei minori, che conta sulla complicità di notai, giudici, medici e direttori di orfanatrofi, è affrontato dal punto di vista di una madre immersa in un ambiente lontanissimo da quello che noi consideriamo civile, popolato da donne indifese ma ricche di dignità, pronte a lottare per il controllo della propria esistenza. Sullo sfondo, un paese dall’identità distrutta, che sogna invano una terra promessa chiamata America.

Alessandra De Luca