Si è spento nella sua Roma a 75 anni Alvaro Vitali, maschera della commedia sexy degli anni Settanta. Sarebbe facile limitarsi a questo, a Pierino, le insegnanti e le dottoresse, ma Vitali, classe 1950, 3 febbraio, è stato molto di più.
Ha respirato cinema sin da ragazzino, dato che la madre lavorava nello stabilimento Titanus di Roma Tiburtina, ma a vent’anni la strada, è il caso di dirlo, gliela spianò Fellini, che lo volle ne I Clown, guarda un po’, il Satyricon, Roma naturalmente, non avrebbe avuto senso senza Alvaro, e poi Amarcord.
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Con quella faccia era destinato alla commedia, quella che negli anni Settanta tirava la carretta dell’industria grazie a mestieranti onestissimi come Marino Girolami, Nando Cicero e Michele Massimo Tarantini. Con lui c’erano, a turno, non solo le Fenech, Rizzoli, Cassini e Guida, ma attori del calibro di Renzo Montagnani, Lino Banfi, Mario Carotenuto e altri che si ricordavano bene che fare il cinema è un mestiere.
Poi arrivò Pierino, e si prese gli anni Ottanta
Almeno la prima metà, reinventando, grazie sempre a Girolami, la figura del discolo per eccellenza della tradizione italiana, in film semplici e ingenui fatti per un pubblico dalle stesse caratteristiche. E per questo di grande successo in un’Italia che stava già radicalmente cambiando, in cui i campioni d’incasso non sarebbero mai più stati Fellini e Visconti.
Alvaro Vitali è stato il simbolo di una trasformazione culturale in divenire, e non uno dei fautori come lo hanno spesso accusato commentatori faciloni. Tanto che quando la metamorfosi si è conclusa e la nuova classe dirigente si è assestata, tutti hanno preferito dimenticarsi di quante risate si erano fatti con le barzellette di Pierino.
Un destino da fool shakesperiano, e un declino inesorabile, almeno ricordato nell’infinito desiderio di revival che ha da sempre questo paese.
Ma a noi Alvaro Vitali piace ricordarlo mentre ci assorda con quella sua risata inconfondibile, con grande affetto e la consapevolezza che tanto ha dato al cinema italiano.