Dogman: il capolavoro di Matteo Garrone sulla vendetta feroce di un uomo mite

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Il punto di partenza è quello di un feroce fatto di cronaca nera che nel 1988 vide protagonista Pietro De Negri, detto il “Canaro della Magliana”, che torturò per giorni e poi uccise il suo aguzzino. Ma dalla cronaca Matteo Garrone si allontana subito per raccontare con il suo Dogman, in concorso a Cannes, tra i migliori titoli della selezione di quest’anno, la storia “etica, ma non moralistica” di Marcello, uomo piccolo e mite, che in una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Alida e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simone, un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere.

Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato. Ma Dogman non è (solo) un film sulla vendetta e sull’eterna lotta tra il debole e il forte. “La cronaca non mi interessa – precisa il regista – e quindi il mio spettatore ideale è quello che non conosce la storia di De Negri, che ho deciso di non incontrare. La cupezza della materia mi ha attratto, ma anche respinto per anni, e non avevo alcuna intenzione di ricostruire quei fatti sanguinosi, né di mettere in scena la trasformazione di un buono in un mostro, come fanno Un borghese piccolo piccolo e Cane di paglia. Nel film la violenza è soprattutto psicologica, legata all’incubo di un uomo dall’indole pacifica che resta incastrato in un meccanismo crudele dal quale non riesce a uscire. Dogman ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere, dei sì che diciamo e che ci portano a non poter più dire di no, dello scarto tra chi siamo e chi pensiamo di essere. In questo interrogarsi nel profondo, nell’accostarsi alla perdita di innocenza di un uomo credo stia la sua universalità”.

Marcello Fonte, il protagonista, è arrivato al cinema quasi per caso. Era il custode in un centro sociale occupato di Roma, il Cinema Palazzo, a San Lorenzo, dove si svolgeva uno spettacolo di ex detenuti. Quando uno di questi a causa di un malore è stato ritrovato morto in un bagno, Marcello è stato chiamato a sostituirlo e successivamente il casting di Dogman, che ha incontrato la compagnia teatrale, ha scelto proprio lui. “Marcello è come Buster Keaton – continua il regista – ha dato dolcezza, umanità e dolore al suo personaggio che vuole riscattarsi dopo una vita di umiliazioni e si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere. La vena religiosa che attraversa questa storia è evidente nel finale, con Marcello che si porta addosso la sua croce”. Straordinario anche il lavoro di Edoardo Pesce nei panni del brutale Simoncino. “Se sbagli il cattivo sbagli il film”, dice il regista, mentre l’attore racconta: “Ho fatto su questo personaggio un grande lavoro di sottrazione tentando di dargli umanità e tridimensionalià. All’inizio lui era per me una sorta di Frankenstein, poi Toro Scatenato, infine ho trovato una sua precisa connotazione fisica e psicologica”.

Girato nel Villaggio Coppola, a Castel Volturno, il film trasforma in un vero e proprio personaggio quello che lo stesso Garrone definisce “un luogo astratto, sospeso, metafisico, in stato di abbandono dopo che gli americani della base Nato si sono trasferiti una trentina di chilometri più in là. Un luogo che mi ha voluto molto bene sin dai tempi de L’imbalsamatore e Gomorra e che mi ha sempre regalato una luce perfetta”.