IL GIOVANE FAVOLOSO, DI MARIO MARTONE

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Italia, 2014 Regia Mario Martone Sceneggiatura Mario Martone, Ippolita Di Majo Interpreti Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Iaia Forte, Isabella Ragonese Produzione Carlo Degli Esposti Distribuzione 01 Durata 2h e 17′

 

Era davvero impresa da far tremare i polsi restituire sul grande schermo Giacomo Leopardi, poeta tanto fra i più amati, complessi e famosi nel panorama letterario italiano, quanto personaggio insolito e rischioso da rappresentare al cinema. Lo ha voluto fortemente Mario Martone, nel solco del suo progetto – di fondamentale importanza – mirato a utilizzare l’immenso patrimonio narrativo Storico italiano, prendendosi per un po’ una pausa dalla rutilante presenza/predominio della tradizione statunitense. Era questa l’idea dietro Noi Credevamo (presentato anche questo a Venezia, nel 2010), lo splendido affresco storico che metteva sotto i riflettori il Risorgimento italiano, trattandolo con tutta l’epicità, la drammaticità, il lirismo e l’intensità dedicate alle materie d’oltreoceano. E ora Il Giovane Favoloso, che è, senza mezzi termini, un film immenso. È immenso negli intenti, l’abbiamo detto; lo è nella messa in scena, ma lo è anche negli orizzonti, nei risultati, nelle ascendenze. Martone, regista teatrale e di opere cinematograficamente aliene, dense fino all’impenetrabilità, riesce nella rara missione di fondere immagini e poesia, cuore e carne: conduce il suo film fluido, come un’opera musicale con un crescendo quieto che lentamente diventa racconto incandescente, infuocato dalla passione che Elio Germano sa infondere nel suo protagonista. Per poi suonare vette emotive altissime, che culminano in una sequenza a fortissimo rischio di farsa – la recita de L’infinito, sull’ermo colle – e che invece si traduce in un momento di forte emozione, sospeso. Il furore del dolore di Leopardi si mescola ai movimenti di macchina di Martone che, mettendo da parte l’enfasi storica, ritrova la sua mano più felice, quella quasi onirica dalla sensibilità mercuriale che aveva catturato lo sguardo nelle sue prime opere; Il Giovane Favoloso come per magia si dimena e lascia i territori pericolosi dell’aneddotica, si libera leggero e utilizza non le opere più intime di Leopardi (di A Silvia, per esempio, non si fa menzione, mostrandone solo l’ispirazione storica) preferendo concentrarsi su quelle più filosofiche (Operette Morali, Dialogo della Natura con un Islandese) per far sì che lo sguardo dello spettatore non si faccia ingannare posandosi su Leopardi uomo/immagine, storpio, infelice, frustato e frustrato da una vita disgraziata; ma possa invece mettersi accanto al poeta mostrandone così l’angolazione prospettica, soffrendo con lui, ma in questo modo condividendone la fascinazione per il mistero della Vita. Anche perché per tutto il film (immenso, si diceva sopra, anche per durata) nessuno sembra capire fino in fondo Giacomo, non il padre, tantomeno la madre, e alla fine forse neanche l’amico Raniero; è invece il regista a identificarsi con gli intenti morali del suo personaggio, con lui condivide la negazione della spettacolarizzazione di ogni aspetto più vero e intimo dell’esistenza. Il Giovane Favoloso vive, si nutre, si consuma, brucia attraverso l’interpretazione, maiuscola, di Germano, che riesce a restituire la dimensione più difficile del poeta, se è vero che più va avanti la narrazione, più Leopardi si piega su sé stesso fisicamente, e più al contrario la sua violenta sofferenza sembra aprirsi e innalzarsi per diventare superiorità morale. Attenzione: tutti questi sono accenti, sottolineature, spigoli di un film imponente, a tratti viscontiano e con inserti felliniani, ma profondamente personale, e come tale assoluto: il dettaglio biografico s’innesta in una febbrile, ossessiva ricerca dell’emozione, rendendo alcuni passaggi soffocati di pianto. Ma di un pianto che non viene dalla tristezza, o dal pessimismo cosmico, o dal dolore; sono lacrime che vengono dall’accezione più pura di “commozione”, ovvero “stato dell’animo perturbato”. Certo, Il Giovane Favoloso non è perfetto (la prima ora, tutta ovviamente ambientata a Recanati, offriva più spunti e resta sicuramente quella più coinvolgente, mentre la seconda parte si appiana -programmaticamente? – fino a riaccendersi sul finale); ma può essere contento Martone di aver realizzato uno dei film più importanti degli ultimi anni nel panorama italico, e può essere contento chi guarda di aver assistito a uno spettacolo unico, forse più importante ancora nel mostrare che il biopic non è calligrafia, ma libera interpretazione; non è imitazione di vita, ma materia vivente.

Gianlorenzo Franzì