Marco, Arregi e Garaño raccontano l’Impostore a Venezia 81

Un incredibile personaggio al centro del film in concorso a Orizzonti

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Marco

Prossimamente sarà anche al cinema in Italia, dove il pubblico potrà scoprire il film di Aitor Arregi e Jon Garaño in concorso nella sezione Orizzonti di Venezia 81, e – soprattutto – il suo protagonista. Sullo schermo è Eduard Fernández (30 monete, Criminal) a dare vita all’incredibile storia di un deportato spagnolo, poi rivelatasi essere fittizia. Marco, the Invented Truth è il racconto della vita di un uomo che per anni si è autonominato portavoce dell’Associazione spagnola delle vittime dell’Olocausto sostenendo una complessa ed elaborata menzogna: quella di essere stato prigioniero in un campo di concentramento nazista.

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Tratto dal romanzo L’impostore“, di Javier Cercas (edito in Italia da Guanda), il film segue il carismatico e propositivo Enric Marco nella sua continua campagna di comunicazione a favore della dell’associazione spagnola delle vittime dell’Olocausto, e di se stesso. Fedele a una vergognosa bugia portata avanti per anni, Marco sostiene infatti di essere uno dei sopravvissuti del campo di Flossenbürg, portando avanti imperterrito la propria storia davanti ai media, all’interno della sua associazione e persino all’interno della sua stessa famiglia. Almeno fino a che uno storico inizia a insistere perché produca prove reali di quanto dice.

Un camaleonte, lo definiscono Aitor Arregi e Jon Garaño – negli ultimi anni spesso insieme alla regia di altri progetti (con Jose Mari Goenaga, qui sceneggiatore al pari di Jorge Gil Munarriz), ma anche un narcisista, un essere “spaventoso e geniale” per il premio Nobel Mario Vargas Llosa, che insieme alle bassezze che si mostra disposto a compiere per ottenere il rispetto e l’ammirazione altrui gli riconosce l’abilità di aver raggiunto il suo obiettivo. E, comunque, di aver favorito un processo di rielaborazione politica e sociale che a lungo la Spagna aveva rifiutato a causa della dittatura di Francisco Franco.

Marco
Aitor Arregi e Jon Garaño

Il vero Marco sarà stato contentissimo della vostra attenzione, ma dopo avervi nascosto il progetto di un documentario e di un libro come avete fatto a continuare a fidarvi di lui e ad arrivare a concludere questo film?
GARAÑO: In realtà abbiamo lavorato tantissimo a questo film, circa diciotto anni, da quando pensavamo di farne un documentario, e nel frattempo è successo di tutto, come nel 2006, quando un giorno ci ha detto che doveva andare in Germania a cercare dei documenti che attestassero il suo esser stato incarcerato in quel paese, ma voleva andarci da solo, senza che lo accompagnassimo per girare. Poi abbiamo scoperto che era andato con un’altra troupe per fare il documentario che mostriamo nel film, e che ci aveva ingannato. Non essendo rimasto contento del documentario, poi, nel 2010, ci raggiunse a San Sebastian – con un salame da regalarci – per chiederci scusa e dirci che voleva continuare il nostro progetto. Per noi fu una sorpresa, ma alla fine ci organizzammo per una tre giorni di interviste, al termine dei quali abbiamo visto che gli costava tantissimo chiedere scusa, o solo ammettere di aver mentito. Quando si iniziava a parlare di fatti, continuava a cambiare discorso, senza rispondere, mescolando le cose, modificando la realtà… era una persona molto complessa.
ARREGI: Abbiamo continuato a lavorare con lui perché per noi la storia di Marco non parla solo di lui, ma di altre cose che ci interessavano. Era una scusa per parlare del perché avessse mentito per tanto tempo: sicuramente per vanità, ma anche per sentirsi ammirato, rispettato, anche se poi lui ha portato tutto all’estremo, in maniera ingiustificabile, e non lo giustifichiamo, ma credo sia una tendenza comune a tutti, quando vogliamo esagerare le storie, mostrare la miglior versione di noi sui social o con la gente. E poi ci affascinava il fatto che il suo successo nasceva dal fatto che la gente voleva sentire le sue storie. Non  l’abbiamo assolto, ma non abbiamo voluto giudicarlo, altrimenti il film sarebbe nato zoppo.

Cosa vi ha colpito di più, conoscendolo, che non vi aspettavate?
GARAÑO: La storia ci ha interessato appena l’abbiamo scoperta, ma la cosa che più ci colpiva era che, dopo che tutto era venuto alla luce e che lui era stato scoperto, non si sia nascosto in casa, scomparendo dalla circolazione. Io mi sono chiesto cosa avrei fatto al posto suo, e penso che per quattro anni non sarei uscito di casa, lui invece è andato a parlare con tutte le radio, le televisioni, ovunque poteva, per difendere quello che aveva fatto. Ha sempre affrontato le cose a viso aperto. Dopo esser riuscito a uscire dalla sua vita, normale, grigia e anonima grazie alla sua capacità di affascinare, ed essere riuscito ad attirare su di sé gli sguardi di persone importanti e degli studenti dell’università, non voleva rinunciare al personaggio che aveva creato. Si è aggrappato a questo Marco, sosteneva di aver dato molto al movimento. Con il nostro film abbiamo voluto creare un terzo Eric Marco – dopo il primo, grigio, e il secondo – e per questo era importante inserire la finzione.

Tra i temi che siete riusciti a sollevare c’è sicuramente quella che riguarda proprio i deportati spagnoli…
GARAÑO: Una situazione particolare, che riguarda solo la Spagna. In Europa, finita la guerra, i deportati sono tornati a casa, molti sono stati accolti persino come degli eroi, mentre invece in Spagna Franco non gli ha permesso di tornare, sono dovuti restare in Francia e hanno dovuto tacere. Per quanto fosse un bugiardo, fosse tutto finto, nel gennaio del 2005 lui è stato il primo “deportato” a parlare davanti al Congresso nazionale e ai deputati spagnoli. Era la prima volta. 60 anni dopo la fine della guerra. E questo grazie alla sua ostinazione, al suo desiderio di far sentire la sua voce. Ci sembrava importante parlare di questa cosa e del tema della memoria. In Spagna c’è ancora chi vorrebbe dimenticare la dittatura, a qualcuno da fastidio che se ne parli, mentre altri – come me – vogliono che si ricordi.

Il ciak che vediamo nella prima scena è un residuo, un omaggio al documentare che avevate pensato di realizzare inizialmente?
GARAÑO: È qualcosa che è venuto al montaggio, non era nella sceneggiatura, ma ci sembrava utile a evidenziare che da quel punto in poi iniziava la finzione. Sentiamo il via, “scena 1”, ciak! e si inizia. La cosa curiosa è che è stata la prima cosa che abbiamo girato, proprio il primo giorno di riprese. E una cosa che non noterebbe nessuno è che non sono Marco e Natalia in scena, ma due ‘controfigure’, il produttore e lo sceneggiatore. Tanto per iniziare con le menzogne!

Che avete contro La vita è bella?
ARREGI: Niente! Quella frase la diceva Marco. E a noi piaceva per questo, che dicesse che era pretenzioso, esagerato, falso quando lui faceva lo stesso. Si comportava così, ma era come se non se ne rendesse conto. Come quando, verso la fine del film, Marco dà del bugiardo agli altri.

 

Marco
Eduard Fernández