Iddu, a Venezia 81 «Il mondo tragico e grottesco di Matteo Messina Denaro»

Al cinema dal 10 ottobre con 01 Distribution

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Toni Servillo, Elio Germano

Quei primi ‘pizzini’ che cominciarono a circolare anni prima della scomparsa di Matteo Messina Denaro hanno ispirato i registi e sceneggiatori Antonio Piazza e Fabio Grassadonia (Sicilian Ghost Story, 2017) nella prima concezione di un film sulla figura, all’epoca ancora sottovalutata, di uno dei boss di Cosa Nostra di maggior spicco. Iddu, loro terzo film, è ora in concorso alla 81ma Mostra del Cinema di Venezia.

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Il film, che vede protagonista Elio Germano nei panni di Matteo Messina Denaro al fianco di Toni Servillo nel ruolo del preside, ex sindaco di Castelvetrano Catello Palumbo, con cui il latitante ebbe a scambiare una corrispondenza nei primi anni del 2000, mette a fuoco un aspetto più intimo della figura del boss, inquietante e perturbante se considerato in relazione alla portata criminale del mafioso. Ne emerge, secondo le intenzioni dei due registi, un mondo tragico e ridicolo, che nel prendersi molto sul serio manifesta tutto il grottesco di quelle figure e di tutti i personaggi che ruotano attorno ad essi.

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“Iddu riesce a non creare alcuna fascinazione rispetto a quel mondo – sottolinea Elio Germano – Sono tutti personaggi estremamente mediocri con la loro bassezza umana”.

Tra il 2004 e il 2006 Matteo Messina Denaro ha portato avanti una corrispondenza con un ex sindaco del suo paese di origine, Castelvetrano, sollecitata dai Servizi Segreti con l’obiettivo di riuscire a catturare il mafioso latitante. Nel carteggio Denaro si dilungava molto nella riflessione su se stesso dalla quale emergeva il ritratto della sua personalità più intima e narcisista, lontana dagli stereotipi, aspetto che ha particolarmente stimolato la creatività dei due registi siciliani.

La storia di Matteo Messina Denaro è la storia del figlio perfetto. Il padre ha riconosciuto subito nel bambino il suo erede naturale, pur non essendo il primogenito – spiega Gassadonia – Rappresentazione di quella forma patologica di patriarcato che ha bloccato lo sviluppo civile di determinati territori e ha generato figli disumanizzati. Per noi questo era il cuore della faccenda”.

Elio Germano

Iddu offre una prospettiva sul mostro criminale del tutto inedita, “disturbante, ma che serve ad uscire dallo stereotipo”, che Elio Germano ha sposato con entusiasmo e partecipazione, perché secondo lui significativa per ogni italiano. “È la patologia degli italiani che si sentono di avere più diritto degli altri ad avere diritti. Nel film parliamo semplicemente di un essere umano, quindi capace oltre che delle peggiori efferatezze anche di dolcezza e sensibilità e questo è perturbante, perché vuol dire che in ciascuno di noi si nasconde la possibilità di diventare una persona così, basta sostituire valori in cui crediamo fortemente con altri valori, come quelli pericolosamente pubblicizzati in questa epoca storica, come la difesa dei propri spazi, del proprio territorio, della propria famiglia, il sentirsi al di sopra degli altri e la difesa della proprietà, dell’impresa, l’esaltazione del cinismo e del profitto, la fascinazione per le armi. Perciò questo personaggio ci mette in discussione”.

Toni Servillo

Con un ragionamento che parte dall’analisi dell’interpretazione e del ruolo dei personaggi, Servillo parla dell’obiettivo di Iddu atto a fare in modo che lo spettatore si chieda come sia stato possibile che tanta mediocrità civile abbia favorito per anni la latitanza di un uomo che teneva in scacco una regione e anche un Paese. “Quando ho letto il carteggio e la sceneggiatura ho trovato tutto talmente inverosimile che si è aperto per me un lavoro come attore estremamente appassionante. Catello è un saltimbanco assediato dalla disperazione. Ogni volta è come se andasse in scena, cambiando atteggiamento recita. Il mio personaggio dà al film una cifra grottesca, ma nelle intenzioni dei due registi siamo lontani dalla innocua atmosfera della farsa, ma siamo nell’atmosfera graffiante del grottesco, dove il grottesco intensifica l’interpretazione della realtà per dare un segno più spesso del carattere di quella realtà di cui ci sta occupando in modo che dietro alla facciata della insensata ridicolaggine di certe situazioni si colga il tragico”.