Non ha ancora 50 anni la regista di Vermiglio, secondo film italiano in concorso per il Leone d’Oro alla 81. Mostra Internazionale di Cinema di Venezia, ma finalmente sembra arrivato il momento per il grande pubblico di conoscere – e apprezzare – Maura Delpero. Nata a Bolzano nel 1975, premiata nel 2012 al Torino Film Festival con il Premio Cipputi per il suo Nadea e Sveta, dopo corti e mediometraggi – e un interessantissimo lungometraggio d’esordio (Maternal) che trovate su Raiplay – si conferma una delle migliori e promettenti realtà del nostro cinema di oggi.
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IL FATTO:
In quattro stagioni la natura compie il suo ciclo. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. Vermiglio racconta dell’ultimo anno della seconda guerra mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino essa perda la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria.
L’OPNIONE:
Qualcuno l’ha definita l’erede di Olmi, sullo slancio dell’entusiasmo suscitato dalla proiezione del suo nuovo film alla Mostra di Venezia. Un entusiasmo giustificato, ma uno slancio dal quale probabilmente la stessa regista prenderebbe le distanze e che ci sentiamo di rimandare al mittente. Non perché la eco del cinema del grande maestro italiano scomparso non risuoni in Vermiglio, ma perché al di là di formali e spontanee assonanze, il cinema della Delpero probabilmente andrà altrove. Su un percorso molto personale, a vedere le sue prime opere e a sentirla parlare, oltre che interessante, emozionante, studiato e tanto organizzato quanto potente, di una forza che nasce dal profondo, da una sensibilità che non vediamo l’ora di vedere espressa in ulteriori maniere.
Come nel precedente Maternal sono le figure di madri e figli al centro di una storia sostenuta da una cornice estremamente raffinata – linguisticamente, stilisticamente e narrativamente coerente e omogenea – nella quale l’ambientazione trentina dell’alta Val di Sole (ma tutto il film è stato girato quasi interamente sul territorio trentino, da dove viene anche la protagonista e che ha contribuito alla produzione) diventa protagonista al pari dei vari componenti della famiglia. Che vediamo vivere situazioni comuni, per il tempo e il contesto sociale, mentre lontano infuria la Seconda Guerra Mondiale. Un conflitto del quale lassù non arrivano le urla, ma del quale è impossibile non vivere le conseguenze.
Tutto nasce da un sogno avuto dalla regista, da poco orfana di padre e che alla storia della propria famiglia si è rivolta per trovare l’ispirazione del film, con un’attenzione particolare al padre famiglia – il locale maestro di scuola, tanto rigido con studenti e figli, quanto appassionato di musica e bisognoso di “cibo per l’anima” – interpretato magistralmente da Tommaso Ragno e al piccolo Pietrin, scelto per riportare in vita lo scomparso genitore.
Figure comuni, e insieme universali, pronte ad affrontare un destino apparentemente ineludibile, schiacciati da convenzioni e abitudini, quelle che soffrono sulla propria pelle le due sorelle, una costretta a subire ingiustamente umiliazione e inganno, eppure tanto coraggiosa da lasciarsi tutto alle spalle per seguire la propria volontà, e l’altra ancora troppo piccola per poter scegliere chi essere, liberamente, e credere di poter percorrere un cammino che ancora oggi qualcuno fatica ad accettare.
Ma tra punizioni, bugie, fioretti, doveri e penitenze, il desiderio nascosto emerge, sboccia irrefrenabile e suggerisce nuove possibilità. Forse solo alle nuove generazioni, quelle alle quali si chiede di sognare e di lottare, ma soprattutto di lasciarci credere che una speranza collettiva ci sia.
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Come accennato, e vista la facilità di reperimento (è su Raiplay), sicuramente va recuperato il suo predecente Maternal, storia che con questo Vermiglio condivide alcuni elementi e l’origine ‘personale’.