Le molteplici e vitalissime intersezioni tra musica e film sono state al centro del Matinée di giovedì 19 giugno alla 61ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, presso la location, inedita per il festival, dell’ex chiesa Maddalena.
E dopo la presentazione del libro-intervista Lo sguardo attivo di Gianni Fiorito – Fotogiornalismo, fotografia di scena e altri territori (a cura Armando Andria, Alessia Brandoni, Fabrizio Croce, che sono intervenuti assieme al noto fotografo e ad Anna Masecchia, Silvia Tarquini e Pedro Armocida, Direttore della Mostra), è stata la volta del regista Tommaso Ottomano e di due poliedrici artisti musicali che negli ultimi anni si sono interfecciati proficuamente con la settima arte, Rodrigo D’Erasmo (anche giurato a Pesaro 61) e Ginevra Nervi.
Il nome di Tommaso Sabatini, in arte Tommaso Ottomano (cui è dedicato stavolta il focus della sezione Vedomusica) è associato, tanto più quest’anno, a quello del cantautore Lucio Corsi, per cui il filmmaker ha diretto tutti i videoclip a partire da Godzilla e Altalena Boy, fino al recente successo di Volevo essere un duro, Premio della Critica “Mia Martini” al Festival di Sanremo 2025 e poi in gara all’Eurovision per l’Italia. E qui sta una prima anomalia della figura di Ottomano, che di questo e altri brani di Corsi è anche co-autore.
«Spesso», spiega il regista all’intervistatore Luca Pacilio in merito al suo doppio ruolo, «mi viene prima l’idea del video». Quello di Volevo essere un duro è un fiume di trovate, camei e riferimenti a un’epoca molto cara a Ottomano (e all’arte del videoclip in genere), gli anni ’90, tra le partecipazioni di Leonardo Pieraccioni e Massimo Ceccherini e i richiami a Black or White di Michael Jacskon. Ma c’è anche molto altro, dagli Aerosmith di Walk This Way all’Esorcista e Ritorno al futuro. I riferimenti temporali sono volutamente eterogenei e incongruenti tra loro, «Anche per prendermi gioco del video stesso: mi piace creare sempre dei bug, degli errori».
Nei videoclip di Tommaso Ottomano il “film” che precede e segue la canzone può essere anche più lungo della stessa, sfidando tendenze, convenzioni e pregiudizi dell’industria discografia. Del resto, «i compromessi esistono», ma «vanno sempre calibrati», precisa il regista che ha lavorato anche nella pubblicità, ma dicendo più di un “no” ove lo ritenesse necessario: «Anche nelle cose più commerciali cerco sempre di mettere qualcosa di me stesso, e la mia cifra stilistica».
Comunque, sottolinea, nel videoclip la priorità per lui è «Essere al servizio della visione dell’artista, e del brano stesso». Tra gli altri, ci sono stati anche Jovanotti con La primavera, il cui video (girato in pellicola) è stato concepito in modo che «sembrasse una performance teatrale, ma molto rudimentale, le scenografie erano fatte di cartone per esempio». E poi i Maneskin di Gossip, per cui menziona il contributo importante dell’aiuto regista Michele Lombardi.
Non a caso «la principale ambizione» di Ottomano è realizzare un film per il cinema (non necessariamente scritto da lui, specifica). D’altronde, l’attività registica ha sempre qualcosa di musicale, e chi sa improvvisare si trova meglio: «Bisogna essere dei bravi jazzisti sul set, perché succede sempre qualcosa».
E, dichiaratamente come una jam session, prosegue senza soluzione di continuità la mattinata con gli ospiti Rodrigo D’Erasmo (compositore, polistrumentista, arragiatore e violinista degli Afterhours) e Ginevra Nervi (compositrice, cantautrice e produttrice musicale) per l’incontro “Imaginary Music”.
D’Erasmo ha iniziato a collaborare col cinema nel 2016, pur avendo «sempre sognato di approcciare quel mondo», e la prima occasione gli viene dall’incontro col regista Alessio Federici, che lo coinvolge nella commedia Terapia di coppia per amanti, con Pietro Sermonti e Ambra Angiolini. Seguiranno, tra gli altri Caracas di Marco D’Amore e Non dirmi che hai paura di Yasemin Samdereli.
Nel primo caso, D’Erasmo ha iniziato a comporre prima che iniziassero le riprese: «Marco (D’Amore, N.d.A.) è una persona curiosa, intelligente e disposta al dialogo», rammenta, «ha iniziato a girare che praticamente aveva già tutta la colonna sonora in cuffia». Il che è stato determinante per restituire musicalmente la particolare ambientazione, nel caleidoscopio etnico-culturale di una Napoli non sempre rappresentata.
E però, confessa il musicista, il suo interesse per proseguire in questo ambito si scontra con criticità e pressioni del settore: specialmente, rimarca, da parte dei distributori, che possono portare e hanno portato a rifare più e più volte una colonna sonora. Il problema è che a volte c’è «poco coraggio», e forse in questo senso le cose vanno meglio nel documentario, menzionando per esempio la sua recente collaborazione a Duse, The Greatest di Sonia Bergamasco.
C’è proprio un doc recente, Lux Santa di Matteo Russo, tra le collaborazioni cinematografiche più significative di Ginevra Nervi, che invece ha iniziato a frequentare il cinema dal 2012, co-producendo un album con Pivio e Aldo De Scalzi. Per Lux Santa, dove un gruppo di ragazzi a Crotone tenta di realizzare una piramide di legna da ardere per la festa dei Fuochi di Santa Lucia, trovando in quest’impresa un’ideale riscatto dalle rispettive difficoltà sociali e familiari, Nervi non ha esitato ad andare, ove opportuno, in contrasto con le indicazioni dello stesso regista. Che, per la scena culminante dell’accensione dei fuochi, voleva un riferimento che la compositrice ha stravolto, dicendogli: «Non è quello che tu vuoi. Però tu hai bisogno di questo brano».
Nervi ha lavorato anche su due progetti, molto diversi, di serie teen, Shake e Prisma. Un altro ambito dove le indicazioni di riscrittura (o “note”, in questo caso) da parte della produzione-distribuzione, anche verso i musicisti, possono rivelatsi alquanto invasive: «In questo momento», afferma, «servirebbe grande coraggio da parte dei compositori», per frenare quello che definisce «il delirio delle note dei broadcaster».
Tra i contesti per cui in futuro l’artista vorrebbe maggiormente spendersi c’è quello teatrale, e fra le opere cinematografiche meno note a cui ha contribuito ci tiene a segnalare il corto Matel di Andrea Negroni, girato nella Val Camonica e imperniato su un delicato e tormentato amore tra due ragazzi.