#Pesaro59 – Presentato in anteprima il film Non credo in niente

Scritto, diretto e prodotto da Alessandro Marzullo e mostrato al Festival in Proiezione Speciale - Esordi Italiani, il lungometraggio sarà distribuito nelle sale a settembre

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Il 23 giugno alla 59ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival, la scena è stata (anche) per l’anteprima assoluta di Non credo in niente, lungometraggio d’esordio di Alessandro Marzullo, anche sceneggiatore e produttore con Lorenzo Lazzarini per Flickmates e Daitona, che distribuiranno a settembre in sala quest’interessantissima opera prima indipendente. Un racconto corale del malessere giovanile odierno, in una Roma notturna dove i personaggi si trascinano tra aspirazioni artistiche frustrate, occupazioni insoddisfacenti, relazioni morenti o abortite, incomunicabilità e frammentarietà esistenziale.

Ma quali sono le cause di una simile crisi generazionale? «Probabilmente Bauman è più bravo a definirle, noi siamo bravi a subirle!», afferma il cineasta, ammettendo come all’origine potrebbe esserci, tra le altre cose, un vuoto politico, ovvero «la mancanza di una visione che dia nuove prospettive, secondo le esigenze di un mondo che cambia velocemente e di continuo». «Probabilmente a mancare è una visione comune», aggiunge Renata Malinconico, che compone il cast corale del film assieme allo stesso Lorenzo Lazzarini e a Demetra Bellina, Giuseppe Cristiano, Mario Russo, Antonio Orlando, Gabriel Montesi e Jun Ichikawa. «In questo momento», prosegue l’attrice, «ha preso spazio un individualismo che ci ha isolato tutti. E che ho sentito finalmente venire meno quando abbiamo realizzato insieme questo film, facendo un lavoro di squadra incredibile».

«Mancano le relazioni umane. Siamo sempre più distanti e forse l’elemento che ha caratterizzato questo progetto è proprio l’unione. Il titolo è Non credo in niente ma noi ci abbiamo creduto molto», ribadisce al riguardo Giuseppe Cristiano. «Io sono giapponese», racconta Ichikawa, «il Giappone l’ho visto sempre un paese all’avanguardia, purtroppo o per fortuna. Lì tempo fa notavo, in giro per la strada, le persone che non si guardavano in faccia, fissando i loro dispositivi, o seduti nei caffè a gruppi di quattro o cinque senza parlare tra loro ma concentrandosi sugli smartphone. Dopo qualche anno in Italia vedi la stessa cosa, lo stesso scenario. Stiamo perdendo il senso del contatto. Nel film si parla molto di questo, ma al tempo stesso c’è la necessità, il desiderio immancabile d’amore».

A sorreggere il nucleo tematico di Non credo in niente, una ricerca stilistica già personale e consapevole, che conta sull’apporto determinante del direttore della fotografia polacco Kacper Zieba e ha un suo riferimento dichiarato nel lavoro di Wong Kar-wai e Christopher Doyle. Sfruttando i limiti imposti dalle tempistiche di lavorazione e dal budget per restituire anche sul piano estetico la condizione dei personaggi e delle vicende narrati. «Abbiamo cercato di “rovinare” il più possibile la pellicola», spiega Marzullo, «integrando tutti i difetti che sarebbero emersi. Perché il film è un film “difettoso”, vuole dire che c’è del difetto nei personaggi e nel mondo che i personaggi vivono».

La volontà di essere «contraddittorio anche nella forma» ha portato allora il regista a non voler «rinchiudere il film all’interno di una struttura narrativa solida, granitica. Ho cercato il più possibile di frammentare, ho scritto le scene senza sapere l’ordine in cui sarebbero state montate, in che direzione sarebbe andato il film. Perché non volevo dare risposte retoriche ai problemi dei personaggi, volevo soltanto metterli in scena e cercare di restituire il più possibile allo spettatore la loro sensazione: vivere brutalità e poesia a fasi alterne».