Addio a George Romero: 3 capolavori da riguardare

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Basterebbe dire che ha reinventato il cinema degli zombi (anzi, ha fatto del morto vivente un archetipo, tra i più formidabili babau contemporanei) e che ha tra i primi legato l’horror alla critica radicale della società contemporanea, per stabilire l’importanza epocale di George A Romero, scomparso questo 16 luglio a 77 anni, sconfitto dal mostro reale di un cancro ai polmoni. Ma così, nel nome dell’exploit sessantottino (di data e di tematiche) de La notte dei morti viventi, passerebbe in secondo piano la considerazione delle qualità prettamente autoriali e registiche di uno dei capi di quello che sarebbe stato il new horror dei ’70, di cui ne riscrisse anche stilisticamente le regole (assieme a Carpenter, Craven, Cronemberg, Hooper, Dante e Dario Argento).

Incrocio di sangue cubano e lituano, laureato a Pittsburgh, affamato di regia (ha cominciato a pasticciare con la cinepresa a 13 anni), Romero ha sempre lavorato al limite del budget più risicato, facendo peraltro della modestia dei mezzi non un alibi o un impedimento, ma un incentivo al talento. Così i successivi La città verrà distrutta all’alba, La stagione della strega (titolo da una canzone di Donovan), Wampyr, sono state concise e brucianti tappe per arrivare al suo secondo capolavoro, Zombi (con Argento alla coproduzione): costato niente, ambientato in un supermercato e destinato a colpire l’immaginario delle generazioni future sino a oggi, secondo capitolo di una saga personale di altri 4 capitoli.

Dopo un divertente e delirante biker movie avventuroso con dei motociclisti da circo che vivono con le regole dei cavalieri medioevali (Knightriders), la sua carriera si imbizzarrì tra difficili rapporti con le case di produzione, progetti abortiti (tra cui uno per Resident Evil), film dagli esiti controversi almeno al botteghino: lo splendido Monkey Shines, l’ambizioso Due occhi diabolici da Poe con Argento, un secondo omaggio a Stephen King La metà oscura – dopo il collettivo Creepshow -, un rientro in campo poco esaltante con Bruiser, infine il rifugio rassicurante del mondo degli Zombi di cui era nume tutelare e nome di garanzia.

Cinema diretto, caustico, che rivoltava, pur rimanendone legato, le regole narrative del racconto classico (d’altronde il suo film culto era I racconti di Hoffmann, 1951, di Powell e Pressburger), cinema quasi militante nella sua urgenza e nel suo spirito indipendente e mai succube alle majors e ai lupi di Hollywood (“Non starò mai male per gli zombi. Sto male per i produttori”). Avrebbe potuto regalarci altre opere? In fondo la sua carriera si è “estrinsecata” sullo schermo in soli 16 film dal 1968 al 2009 – compreso un curioso tuffo nella commedia romantica, sua opera seconda nel 1971, There’s Always Vanilla. Crediamo di no, perché la sua forza artistica è stata anche quella di tenere la schietta rabbiosamente dirittta, sapere dire di no, al prezzo dell’emarginazione e del lavoro ai margini. Quel che ci rimane però, sono i reperti, luminosissimi, di un’epoca davvero unica per idealismo e inventiva.

I suoi tre capolavori

LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI (USA, 1968)

Si scopron le tombe, si levano i morti. Sette personaggi (il protagonista è però Ben, un afro-americano!) finiscono assediati in una casa colonica a Pittsburgh. Tante le chiavi di lettura, di certo uno straordinario e sporco bianco e nero dona al film la forza quasi di un documentario. Da subito cult, da un romanzo di John Russo, ebbe in seguito due remake.

ZOMBI (USA, 1978)

L’America è assediata dai suoi affamati cadaveri, sino all’implosione. Una battaglia totale in cui gli umani perdono tutti i round. Quattro personaggi provano a scamparla rifugiandosi in un supermarket, tra bande di motociclisti, clienti terrorizzati, e morti viventi che si aggirano tra i reparti. Coproduce Dario Argento, scene violentissime (e spesso grandi tagli della censura), trucchi truculenti e successo strepitoso nel mondo.

MONKEY SHINES (USA 1988)

L’universitario Allan Mann finisce per incidente su una sedia a rotelle. Un amico gli regala una scimmietta perché gli faccia compagnia. In realtà la creatura è il frutto di un esperimento scientifico. E’ così diventata molto più intelligente e ricettiva, ma anche subdolamente cattiva e violenta. Da un romanzo di Michael Stewart, un intelligentissimo thriller horror purtroppo salutato da clamoroso insuccesso in patria, nonostante vari premi tra i festival specializzati (Sitges, Avoriaz, Fantasporto).

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