BERLINO, GIORNO 2: TRA LA DIVA NICOLE KIDMAN E IL FILM CLANDESTINO DI PANAHI

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Nicole Kidman
Nicole Kidman

A Berlino il tappeto rosso è finalmente trapuntato di stelle. Oggi al Festival sono arrivati Nicole Kidman, James Franco e Damian Lewis, protagonisti dell’epica avventura raccontata da Werner Herzog in Queen of the Desert. Se la Kidman, regina della sabbia un giorno dopo la Binoche, sovrana dei ghiacci, veste i panni di Gertrude Bell, esploratrice, scrittrice, archeologa e fotografa inglese, impegnata a viaggiare nei deserti mediorientali per conoscere le tribù berbere, Franco indossa quelli del suo grande amore perduto troppo presto. Mentre Pattinson regala un volto contemporaneo al leggendario Lawrence d’Arabia che quando incontrò per la prima volta la Bell aveva solo 22 anni. Dopo tanti iconici personaggi maschili – basti pensare a film come Fitzcarraldo, Aguirre – Furore di Dio, L’enigma di Kaspar HauserHerzog si avvicina finalmente a una figura femminile forte, dalla complessa vita interiore segnata dall’ intelligenza e dalla curiosità, ma anche dalla solitudine e dal dolore della perdita. Entusiasmo per le star dunque, un po’ meno per il film, figlio di un Herzog minore.

Damian Lewis
Damian Lewis

E se in una Teheran d’inizio Novecento, profumata da giardini in fiore e allietata dai versi di tanti raffinati poeti, sboccia l’amore tra Gertrude e l’uomo al quale resterà legata per tutta la vita, nella stessa città, per quanto assai diversa, si aggira l’automobile guidata da Jafar Panahi nel suo ultimo film, Taxi, arrivato clandestinamente alla Berlinale. Arrestato due volte e poi rilasciato proprio grazie alla pressioni di registi e attori di tutto il mondo, Panahi non può comunque lasciare il paese, ma è virtualmente presente con le sue opere in molti festival internazionali. In questa commedia amara torna a raccontare luci, ombre, speranze e frustrazioni della sua gente quotidianamente impegnata a conquistare la propria libertà. I clienti che salgono a bordo del suo taxi (tutti attori) parlano di cinema e censura, pena di morte e assurdità della legge, paura della polizia e voglia di trasgredire confessandosi davanti a una telecamerina piazzata sul cruscotto. Una ragazzina che con una macchina fotografica realizza il proprio piccolo film, sembra avvertire i tirannici governanti che il cinema è ormai un gioco da ragazzi. Tante piccole storie di vita quotidiana per raccontare una società dall’aspetto moderno ma ancora fortemente ancorata ad arcaiche tradizioni.

«Sono un regista – ha dichiarato Panahi – e non posso fare nient’altro che realizzare film. Il cinema è il mio mezzo di espressione e il senso della mia vita. Nessuno può impedirmi di fare film e quando mi mettono all’angolo entro in contatto con la parte più intima di me stesso, e in quel luogo privato, a dispetto delle limitazioni, la necessità di creare diventa ancora più urgente. Il cinema come forma d’arte è la mia principale preoccupazione. Questa è la ragione per cui devo continuare a fare film in qualunque circostanza, per dimostrare il mio rispetto e sentirmi vivo ». «Dal 1951 la Berlinale lotta per la libertà dell’arte e di opinione – ha detto invece il direttore del Festival Dieter Kosslick – e dedica ogni sforzo all’avvicinamento delle culture. Noi continueremo a invitare Panahi finché la sua sedia verrà finalmente occupata ».

Alessandra De Luca

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(foto di Pietro Coccia)