DA ISABELLE HUPPERT A GEMMA ARTERTON: TUTTE LE MADAME BOVARY DELLO SCHERMO

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Gustave Flaubert (Rouen 12 dicembre 1821 – Croisset 8 maggio 1880) è una delle architravi su cui poggia la letteratura contemporanea. Un genio nevrastenico imprigionato in una malinconia temperamentale e in un pessimismo che non conoscono tregua, un amaro e disgustato anti-borghese, anti-modernista, anti-progressista che fece dell’arte faticosa dello scrivere la sua unica ragione di esistere, producendo così capolavori di stile in forma di romanzi, racconti e opere incompiute. Inevitabilmente vicino al realismo in letteratura, non fu mai fagocitato da questo («Questa non è verità. Questa è solo percezione », diceva della sua produzione), anzi la sua ossessione per l’architettura dell’opera che lo portava a continuate ed estenuanti riscritture (5 anni per Madame Bovary, 1851-1856, altri 5 per Salammbò, 1857-1862, 7 per L’educazione sentimentale, 1862-1869, Le tentazioni di Sant’Antonio sono un progetto che rimugina dal 1846 per diventare racconto nel 1874 e ben 2 anni gli costa la stesura dei formidabili Tre racconti, 1876-’77) lo fa travalicare ambiti e confini, per arrivare nella unicità adamantina (ovviamente con estimatori ed entusiasmi di critica e di pubblico) di una ricercatezza formale che sa nascondere in una apparente semplicità e “impersonalità”, l’immensa e spossante fatica della sua creazione. Potremmo perciò anche considerarlo come un precursore del prossimo venturo movimento simbolista.

Madame Bovary con Mia Wasikowska
Madame Bovary con Mia Wasikowska

Lo scandaloso (per l’epoca: subì anche un processo per oscenità da cui Flaubert uscì assolto, vittorioso e, ammettiamolo, anche pubblicizzato) Madame Bovary (o Signora Bovary dipende dalle traduzioni) è il suo chief d’oeuvre acclarato, ma non dimentichiamo gli abbacinanti e dolorosi L’educazione sentimentale (la seconda, non l’opera giovanile dallo stesso titolo poi pubblicata post mortem), Le tentazioni di Sant’Antonio, il meraviglioso Un cuore semplice (uno dei più perfetti racconti mai scritti) e l’incompiuto, acuminato e sarcastico Bouvard e Pécuchet, mai terminato. Certo la Bovary, questa storia di adulterio, soprattutto di desiderio di passione dagli esiti tragicamente fallimentari nel cuore della più meschina provincia francese, entrò di diritto nella bacheca dei libri indispensabili, oggetto di venerazione («MB è probabilmente il capolavoro del romanzo contemporaneo: è un’opera d’osservazione minuziosa e serrata in una forma tutt’insieme splendida e sobria », scrive Gustave Lanson) e qualche temeraria disistima («La rileggo per dovere; ogni volta ella discende un poco: non posso farci nulla », lo scrittore Alain, pseudonimo di Emile Auguste Chartier) tra i colleghi e i critici.

Madame Bovary di Vincent Minnelli, con Jennifer Jones
Madame Bovary di Vincent Minnelli, con Jennifer Jones

Il cinema, il realismo psicologico della narratività classica dello schermo, non poteva ignorarlo. Ad oggi sono 13 le versioni dirette dal romanzo, a cui si debbono aggiungere titoli più o meno ispirati a esso (tra cui includiamo l’attuale Gemma Bovery). Scorrendo di corsa dalla prima versione del 1932, Unholy Love, di Albert Ray all’ultima, presentata a Toronto quest’anno con la regia di Sophie Bartes e Mia Wasikowska nel ruolo (e da noi ancora inedita), ci imbattiamo in opere di routine ma anche in versioni di assoluto valore. Come quella di Vincente Minnelli del 1949 con Jennifer Jones e James Mason; o quella (ispirata da) di Alexander Sokurov del 1989 distribuita in Italia col titolo di Salva e custodisci; o quella di Claude Chabrol del 1991 con Isabelle Huppert. Tra le curiosità: una Bovary interpretata da Edvige Fenech del 1969 (I peccati di madame Bovary), una indiana del 1993, Maya, di Kethan Methan con Deepa Sahi e la star bollywoodiana Shah Rukh Khan. Infine i telespettatori italiani sugli anta non scorderanno certo i 6 episodi di una miniserie, tra le prime a colori sul secondo canale: anno 1978, con Carla Gravina e Paolo Bonacelli (ma nel cast spiccavano anche altri attori amati come Ugo Pagliai, Tino Scotti, Giuliana Calandra, Carlo Simoni). Regia del leggendario Daniele D’Anza.

Massimo Lastrucci

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