“EL  CIUDADANO ILUSTRE”: UNA STUPENDA COMMEDIA CATTIVA

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L’argentino Daniel Mantovani ha vinto il Nobel della Letteratura (quello che non era successo a Borges, dunque). In effetti sono cinque anni che non scrive, compostamente ironico nei confronti della sua beatificazione prematura e reso cinico dalla sua eticità a suo modo profonda, contrapposta a quella del mondo (infatti da Barcellona in cui vive continua a rifiutare ogni tipo di invito e incarico). Inopinatamente accetta però di tornarsene nella cittadina che gli ha dato i natali  per ricevere la cittadinanza onoraria.  Sono vent’anni e più che Mantovani vive in Europa e con curiosità e un po’ di timore affronta la prova del ritorno a Salas (che è poi il teatro di tutta la sua opera letteraria), attendendosi nostalgia e tributi. Non andrà proprio così.

Mariano Cohn e Gastòn Duprat in Argentina hanno lavorato molto per tv e cinema, ma questo è senz’altro il loro progetto più elaborato e ambizioso. La messa a contatto di un “esule volontario”, sardonicamente risentito anticonformista liberal, con una comunità che al dispetto delle apparenze si rivela ottusamente nazionalista (anzi: strapaesana), meschina e livorosa, genera una sorprendente commedia cattiva, dai tempi comici “a combustione lenta” (che è caratteristica delle opere lucide e cesellate). L’empatica e sempre più sofferta maschera di Oscar Martinez (che qualcuno ricorderà in Storie pazzesche), letterato che cerca (invano) di spiegare e di rimarcare il senso di quel che fa e soprattutto non fa, fornisce poi quel classico tocco in più che dona a ogni lavoro ben sceneggiato e orchestrato, i sapori e i colori dell’umanità vera e della spontaneità. Teniamolo d’occhio, El ciudadano ilustre potrebbe essere la sorpresa di Venezia 73.