IL RITORNO IN GRANDE DI SYLVESTER STALLONE: I SUOI 5 RUOLI CULT

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Sylvester Stallone è di nuovo in ascesa: fresco di Golden Globe come Miglior Attore non Protagonista in Creed – Nato per combattere, dal 14 gennaio sarà di nuovo sui nostri schermi a bordo ring. Ecco il racconto ragionato dei suoi 5 ruoli cult

DI MASSIMO LASTRUCCI

ROCKY (1976)
rockyDopo un porno, partecipazioni non accreditate e particine secondarie, il botto, tanto più esplosivo quanto imprevedibile. John Avildsen, cineasta di buona firma e impegno civile, costruisce su questo sconosciuto e sfigato proletario una classica storia americana di sfida e riscatto. C’è populismo? Oh yeah, ma anche cazzotti contro disfattismo, diseguaglianze e apatie esistenziali. E Rocky Balboa, italianuzzo di Filadelfia, pugile di mezza tacca e occasionale lacché di mafiosi, sarà il simbolo di una redenzione che scalda i cuori, anti-tecnologica e romantica (“Adrianaaaaaaaa…”). Tre Oscar, ma solo due nomination (le uniche sino ad ora) per l’anche sceneggiatore Stallone (però gli arriva dall’Italia il David di Donatello), imprevedibile outsider scaraventato nell’empireo delle star e che inaugura così una serie di sei film degenerata negli ’80 nell’ideologia reaganiana e poi risorta. Oltre il culto, una leggenda.

COP LAND (1997)
Cop landSpecialisti, Giudici Dredd e giustizieri vari avevano logorato l’immagine di Stallone sino alla caricatura. Come una boccata d’aria fresca, questo poliziesco di James Mangold ne rinfresca invece l’immagine, ricordando a tutti che sotto al muscolo abita anche un buon attore capace di buone prove se solo si impegnasse un pochino di più. Sordo da un orecchio, rallentato e da tutti preso sottogamba, lo sceriffo Freddy si limita alle piccole pratiche nella quieta cittadina di Garrison, New Jersey, centro residenziale per tanti poliziotti. Almeno finché non scopre il verminaio di corruzione e crimine che vi si nasconde. Appesantito da 30 chili di più, Sly è efficace e spontaneo, a suo agio all’interno di un supercast scorsesiano (De Niro, Keitel, Liotta tra gli altri). La critica per la prima volta dai ’70 lo loda, accompagnandosi una tantum a un pubblico come sempre affezionato ed entusiasta.

RAMBO (1982)
ramboL’impresa di Stallone, ovvero quella di inventarsi un altro personaggio di cult e generatore di sequel miliardari. Da un romanzo di David Morell (Primo sangue), critico e contestatore sul Vietnam, il tragico ritorno a casa del soldato d’élite John Rambo, reduce traumatizzato al limite della sociopatia, capace però di reagire agli attacchi protervi con micidiale violenza (e lo scoprirà l’arrogante sceriffo di una cittadina montana dell’Ovest degli USA). “Questa volta combatte per la sua vita” è lo slogan promozionale. Il bravo cineasta Ted Kotcheff ne rispetta al meglio il mix di action-revenge-denuncia, Stallone nei suoi 3 sequel lo gonfierà invece oltre il super-omismo (sia pure temperato da un’infarinatura di filosofia orientale), facendone il simbolo e il megafono dell’ideologia sbrigativa e muscolare dell’America più falca.

F.I.S.T. (1978)
FistUn film che scava nei rapporti sempre intensi tra criminalità e politica USA. Per chi sa, non è difficile rivedere nel proletario Johnny Kovak, impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori sino a scalare i vertici del sindacato, la biografia del potente (fin nel cuore dei ’60) Jimmy Hoffa, leader degli autotrasportatori ammanicato con la peggio malavita. Anche qui, diretto da Norman Jewison (Jesus Christ Superstar, Rollerball), Stallone domina la scena, più col fisico e le espressioni che non con la recitazione, ancora indeciso su dove andare, professionalmente parlando, se verso un action elementare ancora tutto da codificare o le seduzioni impervie del cinema ribelle. Di sicuro il suo prodigioso naso cinematografico già fiutava dove il pubblico si sarebbe diretto. E lui si sarebbe fatto trovare lì, a fornire Rocky 2 (e il micidiale capitolo III), Rambo, Cobra, Over the Top.

ROCKY BALBOA (2006)
Rocky-BalboaChe dire? Vedovo, maltrattato il giusto dalla vita, Stallone ha fatto fare un bel bagno di malinconico realismo al suo pugile. Senza togliergli però la sua dote migliore, ovvero la cocciuta resistenza a dichiararsi sconfitto. Così a 59 anni suonati, il nostro Rocky torna sul ring e fa pace con il figlio riottoso, mentre lo spirito di “Adrianaaaaa….” aleggia e ammanta. Lo si ammetta infine: Stallone è un regista più sgamato e raffinato di quello che le sue storie non dicano (lo si notava anche nel suo lontanissimo Taverna Paradiso, del 1978, dramma familiare nella Little Italy di New York). Qui, tra notturni di periferia e gli strepiti del ring sa toccare anche le corde di una certa qual nostalgia, del pubblico, dei personaggi e forse anche sua personale.