The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer Usa/Israele 2016 Regia Joseph Cedar Interpreti Richard Gere, Lior Ashkenazi, Michael Sheen, Steve Buscemi, Charlotte Gainsbourg Distribuzione Lucky Red Durata 1h e 57’
Al cinema dal 28 settembre 2017
IL FATTO – Traffichino newyorchese, l’ebreo Norman Oppenheimer (“Io sono un buon nuotatore, tengo la testa fuori dall’acqua”) non possiede tuttavia animo meschino o gusto per la speculazione disonesta. “Se serve qualcosa io la trovo” è il suo motto e prova a mettersi a disposizione di chi ritiene essere una persona importante, anche a costo di rischiare brutte figure. Così decide di “investire” su Micha Eshell, politico israeliano in visita a New York. Anni dopo, quando questi sarà divenuto Primo Ministro fortemente impegnato a trattare la pace con i palestinesi, i due si ritroveranno amici e decisi a collaborare. Ma chi utilizzerà l’altro?
L’OPINIONE – A prescindere dai risultati, cominciamo con il riconoscere che Richard Gere ha ingaggiato da anni una battaglia personale per trasformarsi da divo “cool” a attore completo. E la sta vincendo. Intabarrato in cappotto e coppola, il suo affarista di basso ceto ma di ambizioni alte possiede una umanità e una purezza di grande profondità espressiva e umana (difficile non partecipare con imbarazzo ai suoi intrallazzi e bugie). Il problema di The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer (opiniamo noi) è che quello che è l’epicentro tematico-narrativo della storia (ovvero l’etica di Norman), finisce con l’assorbire e depotenziare tutto il resto. L’intreccio va e viene, la sceneggiatura ogni tanto forza le cose per farle quadrare in maniera sin troppo scoperta e la natura di racconto morale letterario si fa esplicita (come del resto nel peraltro bel titolo in originale).
Il newyorchese cresciuto a Gerusalemme Joseph Cedar ha scritto e diretto. E’ un ottimo regista (in passato il suo Hearat Shulayim, 2011, è stato candidato agli Oscar) che qui ogni tanto si concede variazioni di puro virtuosismo (in una scena intasata di comparse blocca tutti tranne Richard Gere, rielaborando una gag praticata anche da Terry Gilliam, in altre fonde due luoghi diversi sino a riunirli in una perfetta inquadratura “singola”), ma che sostanzialmente, più che accarezzarci con il pathos e la morale da racconto yiddish, non ci conduce da nessuna parte, nonostante il prestigioso cast a disposizione (a parte il troppo umano Lior Ashkenazi, caratterizzano i ruoli anche primi attori come Charlotte Gainsbourg, Michael Sheen, Steve Buscemi) e l’impeccabile contributo dei collaboratori tecnici (segnatevi il nome del direttore della fotografia, l’israeliano Yaron Scarf, è uno proprio bravo).