ROMAFF10: “THE CONFESSIONS OF THOMAS QUICK”, UN MOSTRO CHIAMATO SOLITUDINE

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The Confessions of Thomas Quick: un documentario incentrato sulla storia del primo e più prolifico serial killer della Svezia, presentato nella sezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, capace di svelare, nel finale, una realtà ancora più shoccante ed imprevista del suo prologo

The Confession of Thomas QuickL’inquadratura di un lago di un blue, talmente profondo da racchiudere visivamente l’oscurità della storia trattata, apre The Confessions of Thomas Quick, il documentario diretto da Brian Hill ed incentrato sulla terribile, dolorosa, grottesca vicenda del primo e più prolifico serial killer attivo sul suolo svedese negli anni Ottanta, Thomas Quick (Thomas lo svelto), che ha visto protagonisti non solo l’assassino ma anche il sistema psichiatrico e giudiziario svedese, scrivendo una delle pagine più complesse (ed imbarazzanti) della loro storia. Un nome d’arte, si fa per dire, quello che l’omicida ha scelto per sé, convinto che Sture Bergwall (il vero nome), non fosse abbastanza d’effetto, non lo mettesse sufficientemente in risalto. E proprio il bisogno di essere notati, presi in considerazione – non importa che si tratti di giornali, polizia o psichiatri – spinge Bergwall, che fin da ragazzino mostrava di avere una personalità complessa ed aggressiva, a confessare, nei primi anni Novanta, una serie di omicidi, violenti e ripugnanti, dei quali si proclamava l’esecutore. “Il più grande serial killer svedese” intonavano all’unisono i quotidiani del tempo, creando attorno alla sua figura, un vero e proprio alone mediatico, alimentato dallo studio psichiatrico forense dell’Istituto Saeter del quale, nel frattempo, era diventato cavia, grazie alla teoria della rimozione della memoria capace di riaffiorare grazie a sedute intensive in grado di ricostruire i pezzi mancanti di un puzzle dell’orrore fatto di pedofilia, omicidi e cannibalismo.

The Confession of Thomas QuickIl mostro Thomas Quick diventa una figura mitica, un orco cattivo, il protagonista di storie dell’orrore raccontate per sconvolgere e spaventare, ricostruendo il suo passato e commentando la sua omosessualità (vissuta con vergogna nella Svezia degli anni Cinquanta), considerata dagli psichiatri che l’avevano in cura il cuore marcio dal quale tutto prese il via. Grazie a filmati della polizia che lo riprendono durante le rievocazioni dei suoi omicidi sulle scene del delitto, immagini dei giornali e delle tv dell’epoca, interviste (alcune delle quali allo stesso Bergwall) e ricostruzioni, lo stile narrativo adottato da Hill ricorda da vicino quello della serie della HBO diretta da Andrew Jarecki, The Jinx: The Life and Deaths od Robert Durst, incentrata sul serial killer milionario della New York degli anni Settanta, sebbene la potenza visiva del lavoro di Jarecki si attesti ad un livello superiore. The Confessions of Thomas Quick, rimane, ugualmente, un lavoro estremamente interessante, caratterizzato da twist narrativi improvvisi che dividono la storia in tre grandi sezioni, in un crescendo di suspance, con un finale inaspettato che vale la visione del documentario. Una storia di cronaca nera che si tinge dello stesso blu di quel lago. Un blu sinonimo di solitudine. La solitudine di Thomas Quick.

Manuela Santacatterina