Che sia un viaggio impolverato e silenzioso, oppure musicale e chiassoso o semplicemente catartico e dell’anima, nessun altro regista come Wim Wenders ha saputo catturare e mischiare l’esplorazione e il cambiamento a qualsivoglia forma d’arte, rendendo il tutto un cinema innovativo… che ha appena compiuto 70 anni. Quelli che festeggia il grande filmmaker, al quale dedichiamo un sentito omaggio, alla sua carriera, tra le strade, i colori e le emozioni dell’essere umano.
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Sette decadi in giro per i colori del pianeta, settanta candeline spente oggi, con quegli inconfondibili e sgargianti occhiali calati sul naso, 70 anni e oltre cento firme come sceneggiatore, fotografo, produttore, scrittore e qualche volta attore. Wim Wenders, nato a Düsseldorf nel 1945 ed emigrato prima a Parigi e poi nuovamente tornato in Germania per studiare cinema, è stato uno dei fondatori del Nuovo Cinema Tedesco (insieme a Fassbinder, Reitz, Herzong, Von Trotta e Schlöndorff) facendosi prima le ossa con numerosi cortometraggi e poi dirigendo nel 1970 il suo primo film: Estate in città. Di lì in poi, girando letteralmente il mondo con occhio libero e affascinato, immortala l’uomo nelle sue tante declinazioni, raccontando la morte, la vita, la rinascita, le contraddizioni e le imperfezioni, attraverso capolavori immortali come Alice nelle città, Falso Movimento, L’amico americano, Lo stato dellecCose e, ovviamente, Paris, Texas, Il cielo sopra Berlino, Lisbon Story, Al di là delle nuvole (diretto insieme ad Antonioni) e i recenti Non bussare alla mia porta, Palermo Shooting, Pina 3D e il documentario Il Sale della Terra, penultimo lavoro che anticipa Ritorno alla Vita, la sua cinquantottesima regia in uscita dopo la presentazione allo scorso Festival di Berlino.
LA “TRILOGIA DELLA STRADA” E IL VIAGGIO
L’elemento del viaggio, del percorso, della scoperta, nella filmografia di Wenders è essenziale. Già nel secondo film, Prima del calcio di rigore (1972), il tema era accennato, per poi maturare e farsi manifesto nella sua ”Trilogia della Strada”, composta da Alice nelle città (1973), Falso Movimento (1975) e Nel corso del tempo (1976), tutti e tre interpretati dal suo attore feticcio Rudiger Vogler. Se pur con storie diverse, le tre opere tagliano in verticale la Germania, descrivendo, strada dopo strada, metafora dopo metafora, la complessità di un’epoca che avrebbe portato con sé insoddisfazione e indifferenza.
L’ALTRA FACCIA DEGLI STATI UNITI: PARIS, TEXAS
L’ossessione di Wenders per la strada è accentuata non appena arriva negli States. Ma, invece di ritrarre l’American Dream che negli anni Settanta era la Religione dell’Occidente, il regista tedesco filma un Paese disilluso, deludente e sgretolato. L’amico americano (1977) con Bruno Ganz e Dennis Hopper (bello il parallelo con il suo personaggio e quello iconico di Easy Rider); Nick’s Movie – Lampi sull’acqua (1980), omaggio sul letto di morte al suo amico Nicholas Ray, regista di Gioventù Bruciata, e Lo Stato delle cose (1982), dove c’è il cinema stesso, le differenze produttive europee ed hollywoodiane, e un viaggio tra il Portogallo e la California, sottolineano la sua visione decadente (ma affascinante) per le Stelle&Strisce, sfociando in uno dei suoi capolavori: Paris, Texas (1984). La pellicola, scritta con Sam Shepard (che ritrova come attore molti anni dopo) e interpretata da Nastassja Kinski ed Harry Dean Stanton, oltre vincere la Palma d’Oro a Cannes, riscrive il genere on-the-road e, sequenza su sequenza, riempite dai colori saturi della fotografia di Robby Müller, rende gloria al tormento e alla sconfitta, tra polvere, deserto e dinner da quattro soldi.
IL CIELO SOPRA BERLINO: LA GERMANIA DIVISA
Wim Wenders davanti la macchina da presa confluisce non solo immagini ma anche musica, pittura, letteratura e poesia. E, proprio dai versi poetici di Rainer Maria Rilke e di Peter Handke (che aiutò personalmente Wenders nello scrivere i dialoghi), nel 1987 Wenders firma Il cielo sopra Berlino. Il lungometraggio con protagonisti Bruno Ganz e Solveig Dommartin, racconta di Berlino e degli uomini che la abitano, tutti sotto un cielo sorretto da silenti Angeli. Uno di loro, Damiel, si innamora di una circense, Marion, scendendo così oltre quel Muro ancora in piedi per diventare, dolorosamente, coscientemente, coraggiosamente, un essere umano. Il cielo sopra Berlino così come Paris, Texas prima, è uno dei titoli memorabili di Wim Wenders, intriso di romanticismo e di ossimori che esplorano le contraddizioni di una Berlino divisa in due, mutilata e deformata nel tempo, osservato dalla spalla della Vittoria (monocromatica) di Tiergarten. Wenders, nel 1993, riprende poi la storia di Damiel e Marion (con una colonna sonora da brividi: Lou Reed, Nick Cave, Johnny Cash e U2), dirigendo il sequel Così lontano Così vicino!, che si aggiudica il Grand Prix Speciale al Festival di Cannes.
LISBONA, L’AVANA E IL RITORNO NEL WEST
Eclettico e moderno, Wim Wenders continua ad essere legato ai road movie anche negli anni Novanta, cimentandosi nella fantascienza on-the-road con Fino alla fine del Mondo, interpretato da William Hurt, Sam Neil, Solveing Dommartin, Max von Sydown e da Rüdiger Vogler, che torna nella parte di Phil Winter dopo Alice nella città e il cameo in Così lontano Così vicino!. Il film è impreziosito da una soundtrack che vanta pezzi scritti appositamente da Elvis Costello, Depeche Mode, Lou Reed, T-Bone Burnett, R.E.M., Talking Heads e gli U2. Nel 1994, invece, il cammino di Wim Wenders fa tappa tra i suoni e i profumi di Lisbona, per un altro dei suoi film simbolo: Lisbon Story. Alla fine del Millennio, Wenders vola a Cuba, per lo splendido documentario Buena Vista Social Club (1999), dove, tra le Cadillac arrugginite e l’orgoglio di essere cubani, va alla scoperta del sound del celebre Club di l’Avana. Prima di analizzare le incoerenze italiane con il controverso Palermo Shooting (2008) e cimentarsi con il 3D di Pina (2011) e del suo prossimo film Ritorno alla vita, con James Franco e Charlotte Gainsbourg, Wim Wenders, ispirato dai dipinti di Edward Hopper e dal cinema western, torna negli Stati Uniti per raccontare Non bussare alla mia porta (2005), dove un grande Sam Shepard, stufo della vita dell’attore, fugge per riabbracciare il suo passato. Ancora una volta il viaggio, il passato e l’anima in tormento. Ancora una volta Wim Wenders, con il suo occhio empatico e il suo cinema grande. Chiudete le valige e aprite gli occhi, la strada è sullo schermo bianco per, almeno, altri 70 anni.