Trieste Science+Fiction: tutti i premi e tre titoli da recuperare

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Calato il sipario in un clima di festa e giusto orgoglio, Trieste Science + Fiction Festival n. 17 tira le somme. Premi come sempre ecumenici e ben dosati hanno valorizzato effettivamente il dovuto. Nessuna critica potrebbe obbiettare alcunché. Questi i principali.

Premio Asteroide assegnato al Miglior Lungometraggio (giuria il nostro Stefano Disegni, il regista Milan Todorovic e il direttore artistico dell’Imagine Film Festival di Amsterdam Chris Oosterom) a The Man with the Magic Box di Bodo Kox.

Premio Méliès d’argent (ai lungometraggi europei) a Loop di Isti Madarasz.

Premio del pubblico a Salyut-7 di Klim Shipenko.

Premio Stars War, della Critica Web, a Zombillennium di Arthur De Pins e Alexis Ducord.

Premio Rai 4 a Cold Skin di Xavier Gens.

Premio Nocturno a Hostile di Mathieu Turi.

Su una proposta mediamente buona nel suo complesso, ci sono stati comunque alcuni film che vogliamo segnalarvi in maniera particolare. Il primo ha anche una distribuzione italiana, per gli altri due sarà necessario uno sforzo particolare di ricerca.

Salyut-7 del russo Klim Shipenko è una partecipata e spettacolare ricostruzione della odissea della stazione spaziale del titolo in grave avaria e “salvata” da due cosmonauti, in un’impresa al limite del suicidio (siamo nel 1985 e la guerra fredda e globale tra Usa e Urss è in pieno svolgimento). Il regista si è dichiarato in sala sfrenato ammiratore del cinema italiano, ma dal modello del film diremmo che lo è soprattutto del cinema blockbuster di Hollywood, con effetti speciali accurati, dosaggio mediato in funzione emotiva tra avventura e dramma privato, venendo a somigliare così – e senza sfigurare! – ad analoghi film di Howard e Cuaron. Il che potrebbe essere un complimento ma anche una critica, a seconda.

Affascinante nella sua inattualità narrativa (in impeccabile veste formale ipercontemporanea) è poi Cold Skin, un’avventura in una sperduta isoletta dell’Oceano antartico, ambientata nel 1914, tra panorami “esotici” estremi, prodotti di un’evoluzione imbizzarrita (ma zoologicamente plausibile) e follia umana, all’interno di una sorvegliata aura letteraria quasi ripresa dalle atmosfere del positivismo che fu, tra Verne, Stephenson, ma anche Poe e Lovercraft. Da un romanzo dello scrittore catalano Alberto Sanchez Pinol.

Infine, ecco il nostro beneamato Takashi Miike, che, al ritmo di due o tre film all’anno continua a divertirci, colpendo alternativamente di volta in volta lo stomaco, il cervello e qualche volta il cuore. Qui, Fuori Concorso, ecco Blade of the Immortal, due ore e venti di fanta-cappa e spada, dall’omonimo manga, sulle gesta di un samurai su cui pesa, come una pena senza fine, l’incubo dell’immortalità a scapito del “sequestro” della sua anima. Al servizio di una ragazzina in cerca di vendetta per l’assassinio dei suoi genitori, riuscirà a trovare la pace perduta? Duelli, battaglie in costume, il Giappone medievale e la tecnica spigliatissima e sempre divertita di uno degli autori più rock in circolazione.

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