11 settembre 2001, vent’anni dopo: il cinema è diventato più oscuro?

Gli attentati dell’11 settembre 2011 hanno influito sul nostro immaginario ma anche, e profondamente, sul cinema. Stravolgendo il gusto e polarizzando l’offerta. Vediamo come

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11 settembre 2001

Due vecchi film (1997: fuga da New York di John Carpenter e 1999: occhi bianchi sulla terra di Boris Sagal) avevano segnato lo spartiacque tra il secolo industriale e quello apocalittico. Un solo film – con cento derivati – aveva aperto la porta al XXI secolo: 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick.

Ma nemmeno il genio di New York poteva immaginare nel ’68, mentre giravail viaggio  interstellare del Discovery, che proprio in quel fatidico anno – il 2001 – la realtà gli avrebbe rimandato la palla nel Ground Zero della sua città con una tragedia apocalittica degna della SF intinta nel noir.

Sono passati vent’anni esatti dal rogo delle Twin Towers

E il filone apocalittico ispirato alla realtà è diventato addirittura un genere frequentato dal cinema americano in memoria delle vittime di allora e degli eroi che si sacrificarono spesso invano.

Ci sono date della Storia che segnano in modo indelebile l’immaginario collettivo: l’11 settembre 2001 è una di queste ed è impossibile non trovarne tracce profonde nel sogno collettivo che il cinema alimenta, dando voce e profezie anche all’inconscio degli spettatori del pianeta.

Cosa è cambiato da l’11 settembre 2001?

Ci sono fenomeni evidenti e sommovimenti tellurici che corrono sotto pelle. Così non sarebbe lecito mettere insieme il ritorno in forse dei super-eroi e la nascente dittatura
Marvel con i sinistri complotti di Osama Bin laden. Però appare oggi chiaro che quasi due generazioni – e non solo americane – hanno trovato rifugio in questa consolatoria palingenesi e nel rinfrescato mito dell’eroe grazie alle creature nevrotiche di Stan Lee.

E non è nemmeno un caso che questo meccanismo abbia avuto successo perché proiettato nel futuro, con sempre più frequenti andate-ritorni tra le epoche per conciliare la memoria
con la speranza.

11 settembre 2001

Naturalmente i generi che hanno preso il sopravvento nel secolo della paura sono molti e l’industria ha cercato di servire piatti diversi per ogni palato, ma lo spettacolare-catastrofico ha certamente segnato una generazione, facendosi forte di una tecnologia digitale prima sconosciuta e per la prima volta in grado di creare autentici mondi come nel pittorico Avatar di James Cameron (2009) o nella saga di Peter Jackson nel nome del Signore degli anelli (il cui primo episodio è proprio del 2001).

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Mito e Fantascienza hanno dominato, stagione dopo stagione, il nuovo immaginario creato dal computer, offuscando pian piano anche le saghe del futuro “sostenibile” come le Guerre Stellari di George Lucas.

L’altro fenomeno indiscutibile è la polarizzazione del prodotto: cinema pop corn per i teen agers e cinema dei sentimenti (spesso lacrimosi) per gli anziani. Il grande vuoto è stato lasciato a uomini e donne in carriera, evidentemente troppo occupati durante il giorno per specchiarsi a sera sul grande schermo, sempre più attratti dal solipsismo dei games e troppo impauriti da un cinema d’autore che li costringeva a pensare quando erano ancora giovani.

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Non è del tutto un caso che l’ultimo, vero successo di Woody Allen (Match Point,
2005) vedesse i volti lividi dei suoi spettatori uscire dalla sala, costretti a un processo
di autocoscienza fin troppo sgradevole e veritiero.

A scorrere i campioni del box office dal 2000 a oggi la sentenza è irrevocabile: nessun titolo capace di uscire dalla gabbia del grande spettacolo, tra i pirati della Luna Nera, i cartoon come Shrek e Toy Story, il maghetto Harry Potter e l’uomo pipistrello, i cloni di Star Wars, i Transformers e gli Avengers.

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A spintoni il cinema italiano si è difeso con la declinante serie dei “Natali a…” e l’astro crescente di Checco Zalone: sintomi di una società che cerca l’evasione (e questo non è certo fenomeno da criminalizzare), ma che fatica a marcare il territorio con una ritrovata sintonia tra realtà e immaginazione.

A vedere il lato buono della vicenda si può segnalare la capacità dei nostri migliori autori di
riguardare la storia senza pregiudizi (da Marco Bellocchio a Paolo Sorrentino, da Gianni Amelio a Nanni Moretti), ma il loro pubblico invecchia con loro e si restringe ogni anno di più.

Terzo e ultimo scalino di questa difficile classifica: la trasformazione del cartoon da genere per bambini&famiglie in grande allegoria del presente. Come se l’uomo del XXI secolo avesse un bisogno estremo della metafora, della rappresentazione scopertamente favolistica per ritrovarsi e capirsi.

11 settembre 2001

Il cartoon è stata l’estrema risorsa del cinema contemporaneo per veicolare idee, poesia, valori e prospettive senza tradire le attese da spettatore. Il “fumetto animato” non solo si è sdoganato dal genere a target fisso grazie alla creatività dei suoi autori ma ha saputo anche sciogliersi dall’abbraccio mortale col videogioco, costruendo una sua aristocrazia che non è più solo il terreno di caccia della Disney e di Miyazaki.

È come se la creatività del cinema fosse tornata alle sue origini e qui cercasse il rimbalzo
verso una nuova era. Saprà destreggiarsi fra virtual reality e cinema del pensiero?

Per ora diremmo di sì.