A passo d’uomo, la recensione del film di Jean Dujardin al TFF

Scelto per aprire il Trento Film Festival, sarà nelle sale a ottobre distribuito da Wanted Cinema

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A passo d'uomo, Jean Dujardin

Al cinema con il riuscito November – I cinque giorni dopo il Bataclan di Cédric Jimenez visto al Festival di Cannes 2022, Jean Dujardin dà appuntamento al pubblico italiano dal TFF – Trento Film Festival, dove A passo d’uomo (Sur les chemins noirs) di Denis Imbert è stato proiettato come film d’apertura della 71° edizione. Una “fuga dal mondo”, ma anche “di forza d’animo, guarigione, resilienza e riconnessione alla natura e al sé profondo“, basata sugli eventi raccontati nel libro autobiografico dello scrittore francese Sylvain Tesson che vedremo nei nostri cinema a ottobre, distribuito da Wanted Cinema.

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IL FATTO:

Scrittore con un debole per le esperienze estreme e i viaggi in solitaria, Pierre è un sopravvissuto della vita. Ha sempre fatto tutto alle sue condizioni, quando gli faceva comodo e con chi voleva, ma ogni volta che le costrizioni minacciavano la sua libertà, la soluzione era sempre la stessa: scappare. Una sera, ubriaco, cade dal cornicione di un palazzo e dopo un volo di 8 metri viene ricoverato in coma profondo. Uscitone, Pierre riesce a malapena a stare in piedi, ripromettendosi di attraversare la Francia a piedi appena ne fosse stato in grado. Contro il parere di tutti, decide così di partire per un’escursione in solitaria, dalla Provenza a Mont Saint Michel, lungo sentieri dimenticati attraverso alcune delle regioni più aspre, inospitali e belle della Francia.

A passo d'uomo, Jean Dujardin

L’OPINIONE:

Inevitabile concentrarsi sulla valenza simbolica del lungo terapeutico peregrinare di Jean Dujardin nei panni del Pierre di A passo d’uomo, sulla sua ostinata volontà di curare le ferite non solo del fisico attraversando un Paese diverso da quello riportato sulle mappe, “attraverso il sottobosco, forzando il passaggio e accettando le deviazioni“. Una Francia “ombrosa, lontana dalle strade“, nella quale perdersi per ritrovarsi, che sembra avere lo stesso carattere del solitario – ma non troppo – protagonista, dal corpo ugualmente segnato, ma che nei suoi silenzi si rivela capace di rivelare una forza spesso invisibile. Una ricerca di verità – che non è quella dei modaioli neo-rurali o dei green di ultima generazione – sulla quale insiste Sylvain Tesson e alla quale il film di Denis Imbert mostra il giusto rispetto, rendendo solo più magnetico l’eroe, nel libro meno affascinante del sopravvissuto Dujardin. Che seguiamo nelle sue riflessioni, più ancora che nel meraviglioso viaggio dal Massiccio del Mercantour alla Normandia di Mont-Saint-Michel, e nel graduale superamento della sua condizione attraverso l’approfondirsi dei suoi rapporti, tanto con lo spazio quanto con le persone che vediamo affacciarsi dal suo passato. Voce OFF a parte, potrebbe non esser facile seguire la lunga narrazione messa in scena da Imbert e Dujardin, sia perché distratti dalle spettacolari immagini che scandiscono le tappe del cammino, sia per la ricchezza degli spunti offerti alle riflessioni dello spettatore, ulteriore premio alla fatica di riparare le fratture accumulate come in un umano kintsugi. Più che il sogno, la caparbietà, più della speranza, la resilienza, concetti ormai diventati comuni, che qui trovano coloriture inattese (dal “trovare la radura dietro ai rovi” a “la lumaca non si ritira mai”) e si rivelano perfettamente integrati nell’evoluzione del protagonista, esemplare nella sua rivalutazione dell’idea di progresso e di lentezza. 

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Indubbiamente, il titolo con il quale questo A passo d’uomo ha maggiori affinità è il Wild del 2014 diretto da Jean-Marc Vallée e con una ottima Reese Witherspoon. Sceneggiato da Nick Hornby, che allora adattò il libro di Cheryl Strayed, anche in quel caso si parlava di un trauma da superare, sebbene non manchino i film che raccontano viaggi significativi. Come Il cammino per Santiago di Emilio Estevez con Martin Sheen (ma il percorso spagnolo è al centro anche delle opere di Lydia B. Smith e Aaron Leaman), The Way Back di Peter Weir del 2010 o il tanto di moda una decina di anni fa Into the Wild – Nelle terre selvagge, che Sean Penn scrisse e diresse a partire dal libro di Jon Krakauer, Nelle terre estreme, regalando a un convincente Emile Hirsch il ruolo più importante della sua carriera.

 

A passo d'uomo, Jean Dujardin

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO
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