Christian, Claudio Santamaria e il parallelismo con Lo chiamavano Jeeg Robot

L'attore riflette sull'importanza dei nuovi generi, tra cui il supernatural, e scherza sull'idea di un crossover tra Enzo Ceccotti (Lo chiamavano Jeeg Robot) e Christian

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Ha debuttato il 28 gennaio su Sky Christian, la prima serie tv italiana supernatural firmata Sky e Lucky Red diretta da Stefano Lodovichi – anche produttore creativo – e Roberto “Saku” Cinardi.

Edoardo Pesce interpreta Christian, lo scagnozzo di un boss della Roma di periferia che si guadagna da vivere facendo l’unica cosa che sa fare: picchiare. Lo fa per il boss locale, Lino (Giordano De Plano), una sorta di fratello maggiore perché cresciuto con la stessa donna, Italia (Lina Sastri), che soffre di Alzheimer e di cui si occupa Christian. Un giorno all’uomo iniziano a far male le mani e a sanguinare: sono delle stimmate e quando attraverso di esse salva miracolosamente da un’overdose la tossica del quartiere, Rachele (Silvia D’Amico), rendendosi conto di poter curare la gente, attira l’attenzione di Matteo (Claudio Santamaria), scettico emissario del Vaticano ossessionato dal trovare qualcuno i cui poteri taumaturgici siano veri.

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La serie è liberamente ispirata alla graphic novel Stigmate da cui Cinardi dieci anni fa aveva già tratto un corto interpretato da Gabriele Mainetti, poi regista di Lo chiamavano Jeeg Robot, il film italiano che prima di tutti ha sperimentato le tinte supernatural. Lo stesso Claudio Santamaria, protagonista anche della pellicola del 2015, ha parlato del parallelismo con il film di Mainetti, soffermandosi sull’importanza dei nuovi generi:

«L’ambientazione tra questi due personaggi e questi due mondi si tocca. Se non avessi partecipato alla serie, magari avremmo potuto fare un crossover: Christian e Enzo Ceccotti insieme che salvano il mondo! – scherza, per poi aggiungere – Jeeg è stato un’apripista. Queste idee sono nell’aria da anni. È tantissimo tempo che aspettiamo di aprire le porte al genere, di poter tornare a divertirci con il cinema, di scrivere storie che non parlino solo dell’ombelico di chi le ha scritte, che siano comprensibili anche all’estero e che abbiano dei temi universali».

«La capacità di noi italiani è quella di saper prendere anche tematiche estere, come quella dei supereroi, e di saperle fare nostre, aggiungendo profondità e realismo – aggiunge Santamaria – In questo modo riusciamo a parlare di una società contemporanea che riesce ad affrontare delle tematiche sociali importanti attraverso divertimento, che era quello che la commedia all’italiana sapeva fare benissimo».

«In Italia per arrivare a far sospendere l’incredulità allo spettatore dobbiamo fare un percorso più faticoso, la nostra salita è più ripida. Dobbiamo inserire i personaggi in un contesto iper realista e dar loro delle dinamiche emotive forti».