Dostoevskij e il comodino d’infanzia dei D’Innocenzo (video intervista)

Fabio e Damiano D'Innocenzo ci parlano di Dostoevskij, la loro nuova (e prima) serie tv presentata al Festival di Berlino. Una produzione Sky Studios prodotta con Paco Cinematografica.

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D'Innocenzo Dostoevskij

«Per fare buon cinema non dobbiamo sentirci invitati, ma imbucati, come ladruncoli». Mai banali e sempre aperti alla riflessione, Fabio e Damiano D’Innocenzo hanno presentato Dostoevskij in anteprima mondiale al Festival di Berlino nella sezione Berlinale Special. Li abbiamo incontrati.

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Dostoevskij, trama

In un lasso di terra scarno e inospitale, il poliziotto Enzo Vitello, uomo dal buio passato, è ossessionato da “Dostoevskij”, killer seriale che uccide con una peculiarità: accanto al corpo l’omicida lascia sempre una lettera con la propria desolante e chiarissima visione del
mondo, della vita e dell’oscurità che Vitello sente risuonare al suo interno.

Siete riusciti nuovamente a creare dei non-luoghi perfetti per accompagnare l’isolamento e l’abbrutimento dei personaggi. Come avete lavorato sulle location di Dostoevskij?

Fabio: Dopo i nostri primi due film sembrava che raccontassimo sempre Roma, quando in realtà solo il nostro primo film [La terra dell’abbastanza ndr] ha come scenario la Roma di borgata dove siamo nati. Favolacce era più un luogo metafisico, che non esisteva. Non vogliamo creare l’equivoco che queste cose accadano solo un posto. Creiamo un “non-luogo” perché il protagonista è un “non-personaggio”, una persona che si sta cancellando. Dove può vivere se non in un posto che non esiste? Abbiamo creato un puzzle di location girando per il Lazio, non c’è un baricentro vero e proprio, anche se nella serie sembra così.

Gli avete dedicato il titolo, sarete particolarmente legati alla lettura di Dostoevskij.

Damiano: Dostoevski rappresenta il comodino d’infanzia dove nostra sorella poggiava i suoi libri, I fratelli Karamazov e I demoni. Nella serie i riferimenti letterari erano in realtà anche altri. Le perizie di William Gaddis è il romanzo che più ci ha guidati per avere un affiancamento morale allora storia. E poi sono sincero, Dostoevski suona bene. È un titolo ad affetto. 

Dostoevskij parla di cambiamento. Quanto vi sentite cambiati dopo questo lavoro?

Fabio: Il cambiamento è nella consapevolezza che avremmo dovuto bipassare ogni forma di paura nei confronti di questo lavoro, l’idea di dover piacere, bissare un successo e inseguire un pubblico che in realtà non esiste. Noi siamo il nostro pubblico. Io non ho bisogno di soddisfare nessuna platea se non lo sguardo di mio fratello. Siamo cambiati fisicamente: più occhiaie e meno capelli. 

Vi è mai pesato essere stati definiti giovani prodigi del cinema italiano?

Damiano: Non avendo social faccio sì che non ci siano sirene pronte ad adularmi. Dopo Favolacce abbiamo mancato il nostro film successivo, America Latina, perché eravamo meno accaniti e abbiamo subìto quell’apostrofo, “prodigi” come dici tu. Per fare una cosa bene dobbiamo essere accaniti, siamo sempre stati così, anche quando facevamo i giardinieri. Non dobbiamo sentirci invitati, ma imbucati, come ladruncoli di cinema. Lì riusciamo bene. r Dostoevskij 

Guarda qui la nostra video intervista a Fabio e Damiano D’Innocenzo