Nessun artista sarà mai veramente avvolto dal mistero dell’anonimato quanto Bansky, di cui si conosce solamente il luogo di nascita, Bristol. Le sue opere hanno sconvolto, dissacrato, rivoluzionato il mondo intero – e continuano a farlo. Molte, però, sono andate perdute, la street-art per definizione regala l’arte alla strada, che la fa sua e la inghiotte fino a dissolverla come fa con tutto il resto.
Per fare in modo che non ne venga dimenticata nessuna, la società Artful Events Collective, guidata dal curatore Manu De Ross, ha ideato la mostra The World of Banksy – The immersive experience, che riproduce 120 opere dell’artista direttamente dai muri, ed è in esposizione a Napoli all’Arena Flegrea della Mostra d’Oltremare fino al 4 maggio 2025, per la prima volta in Italia dopo aver fatto tappa a Barcellona, Milano, Parigi, Praga, Bruxelles, Lisbona, Budapest, Cracovia e Dubai, attirando oltre 2 milioni di visitatori.
«Per ricreare le opere abbiamo lavorato su fotografie degli originali», spiega De Ross che così ridona vita a pezzi simbolo del percorso dello street-artist, come Steve Jobs nel campo profughi di Calais, l’immagine dei due agenti di polizia che si baciano, la bambina vietnamita mano nella mano con Topolino e Reagan, il Napoleone velato in groppa al suo cavallo bianco.
Per farle sembrare ancora più originali, le riproduzioni sono poste su porzioni di muri e vicoli, con tanto di polvere sui marciapiedi.
Il percorso espositivo, che comincia e termina con la Madonna con la pistola, la prima opera italiana di Banksy, ancora oggi perfettamente conservata in una teca lungo via dei tribunali nel centro storico di Napoli, ripercorre tutti in conflitti da cui è stato ed è corrotto il mondo. Nessuno è dispensato: dall’Europa agli Stati Uniti, dal genocidio in Palestina alla guerra in Ucraina, fino all’iconica frase “There’s an elephant in the room, there’s a problem that we never talk about”, per denunciare la fame in Africa.
A completare l’esposizione, i video che testimoniano l’impegno politico di Banksy: dai suoi diversi interventi in Ucraina, alla sua nave salva-migranti, la Louise Michel, che naviga le acque del mediterraneo marchiata dalla bomboletta dell’artista.
«Lui sostiene che le sue opere siano tanto quotate, ma spesso dona i proventi della vendita a sistemi sanitari pubblici – conclude il curatore – e per quanto non abbiamo idea se lui sia mai venuto a visitare la mostra in una delle sue tappe, sappiamo che è a conoscenza dell’esposizione in qualche modo siamo con la coscienza a posto, perché non tradiamo il suo messaggio, oltretutto così come non ha mai autorizzato l’utilizzo delle sue opere non ne ha neanche mai negato il permesso».