Dalla Siria all’Ucraina: a Le Voci dell’Inchiesta il cinema racconta le conseguenze della guerra

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Cosa resta dopo la battaglia? Quali sono le conseguenze più profonde – nel territorio, nell’uomo, nella storia – di uno scontro totale e senza quartiere? Due documentari profondamente diversi per durata, località geografica, produzione, taglio e poetica, presentati in anteprima nazionale al festival Le Voci dell’inchiesta Pordenone Docs Fest (a cura di Cinemazero, in programma fino al 14 aprile), si accomunano nella dolente registrazione della irrimediabilità di una violenza dalle cicatrici indelebili.

The Distant Barking of Dogs produzione scandinava (Danimarca/Svezia e Finlandia) con la regia di Simon Lereng Wilmont, premiata a Salonicco e Tel Aviv, racconta della mostruosità della sopravvivenza in mezzo a una guerra che diventa abitudine, quotidianità, normalità. In Ucraina, durante/dopo un conflitto che abbiamo subito imparato a dimenticare, a Donetsk, vive Oleg, un ragazzino di dieci anni rimasto orfano e curato dalla nonna. E’ uno dei pochi a non essere fuggito e in questo diario di un anno vediamo la sua acclimatazione alla zona di guerra, tra mine anticarro inesplose, i rumori (vicini/lontani ?) dei bombardamenti aerei e coetanei che trovano il modo e la vitalità incosciente di giocare con le armi. Difficile tenere a freno lo commozione.

Aleppo: the Silence of War è invece un poema visivo (sospettiamo sarebbe piaciuto molto al maestro Joris Ivens). Mezz’ora di immagini fisse di come è ridotta Aleppo, dilaniata in mezzo in uno scontro tra più forze. Aleppo è – o dobbiamo ormai dire: era? – una delle città chiave della Storia dell’umanità. L’ispirata cinepresa dell’iraniano Amir Osanlou (ed è difficile non pensare, guardando la bellezza e il nitore delle riprese, al suo connazionale, Abbas Kiarostami) a inquadrature fisse compone un quadro della desolazione di struggente emotività.

Macerie, rottami, scheletri di abitazioni, carri armati e aerei inutilizzabili e abbandonati lì già a produrre ruggine. E su tutto il silenzio della mancanza di ogni presenza umana. Anzi: non il silenzio, ma il suono del vento che passa e fa cigolare un’altalena, cozzare il metallo, con qualche stentato cinguettio come unico segnale di vita. Immagini di una post apocalisse che neanche un mago di kolossal di cinecomics avrebbe potuto produrre con tanta potenza visiva. Impressionante e straziante, tanto più che potrebbe essere non l’inferno da cui ripartire ma anche una semplice tregua da cui sprofondare ancora di più nella allucinazione e nell’insensatezza.