Leonardo Pieraccioni: «Potrei portare sullo schermo una ‘Pieracciona’ o Il ciclone 2»

Leonardo Pieraccioni torna in sala con "Il sesso degli angeli", e fa il punto su una carriera e futuro

0

C’era un tempo in cui Leonardo Pieraccioni conquistava le donne. Oggi preferisce avere fede nel Signore. Parliamo di film, naturalmente. Nel suo ultimo Il sesso degli angeli, nelle sale dal 21 aprile con 01 Distribution, il regista e attore fiorentino interpreta un prete alle prese con la Maison de la Joie, ossia un bordello. Ne parla a Ciak, raccontando della sua voglia di continuare a fare commedie con sincerità.

Pieraccioni, quando ha deciso che era arrivato il momento di interpretare un prete?

Con Giovanni Veronesi abbiamo sempre detto che un personaggio deve avere la dignità della sua età. Se a 30 anni una donna bellissima mi poteva portare chissà dove, e a 40 ho cercato di mantenere la sindrome di Peter Pan con quell’inno alla singletudine che viene meno appena il cuore inizia a battere, a 50 ho iniziato a raccontare le paturnie degli uomini di mezza età che preferiscono i figli all’amore. Oggi che ho 57 anni con Filippo Bologna ci siamo divertiti a immaginare un prete che preso da un dubbio amletico si chiede: ho sbagliato nella vita o no?

Il suo Don Simone è moderno, è uno che mette Lady Gaga alla messa. Dovrebbero essere tutti così i sacerdoti?

Mi piacciono i preti di strada che parlano alle persone e ai giovani, anche indossando una maglietta sgualcita. Io sono cresciuto nell’oratorio di Sant’Ambrogio a Firenze, dove i ragazzi erano presi dalla vita reale e non da quella virtuale come accade oggi. Il mio prete si illude di riuscire ad avvicinare i giovani alla sua chiesa grazie all’eredità dello zio Valdemaro, che in realtà gli ha lasciato un bordello in Svizzera.

Lo zio defunto ha il volto di Massimo Ceccherini.

È un Lucifero naturale, non ho fatto altro che invecchiarlo un po’. Nel film è lui a mettere in crisi Don Simone, portandolo in una specie di Purgatorio.

Ha scelto, invece, Marcello Fonte come sua spalla, mentre a Sabrina Ferilli ha affidato il ruolo di Lena, che gestisce il “boutique bordel” a Lugano.

Mi sono innamorato di Marcello in Dogman. Quando abbiamo iniziato a scrivere il personaggio di Giacinto, ho pensato a lui. Era preoccupato perché credeva che la commedia non fosse nelle sue corde, mentre ha tutti i colori per farla. Per me fare un film è come andare in campeggio e con Sabrina è andata così. Io e lei ci siamo capiti subito, sarà che proveniamo entrambi da realtà belle e popolari.

Quanto è difficile far ridere oggi?

Molto. I tempi sono cambiati, bisogna stare attenti a certi temi, a dire determinate cose. A volte è faticoso, viviamo una forma di censura. Ma la commedia è sempre stata bella perché ha parlato il linguaggio del popolo. La risata giustifica anche una battuta becerotta. E poi se una battuta è infelice la gente non ride.

Anche in questo film sfoggia la sua vena musicale.

Io nella vita avrei voluto fare il rocker come Bruce Springsteen, o Biagio Antonacci. Il brano Il dubbio che ho scritto, cantato da Serena Ionta, parla del dubbio come di un problema che ce l’ha fatta. Nel mio caso è quello della fede, con Dio che forse si è dimenticato di me.

E i suoi dubbi quali sono?

Avendo una figliola di 11 anni, riguardano il suo futuro. Io ho fatto questo mestiere cercando di divertirmi, senza guardare le stelline dei critici o avere la sindrome dei David di Donatello. Oggi ho ancora voglia di fare film. Non ho dubbi, solo certezze. Come il fatto di non esser stato un bravo fidanzato.

Beh, un’altra certezza è che cinque suoi film sono nella classifica dei maggiori incassi in Italia.

Quei risultati al box office non torneranno più. Un nome non è più una garanzia come lo era un tempo. Dopo il successo de I laureati, Cecchi Gori ne annunciò il sequel. Ma io stavo già pensando a un film su delle ballerine di flamenco che arrivano nella campagna toscana. Era Il ciclone e incassò 78 miliardi di lire. Le persone videro in quella commedia un codice di purezza e verità che non potevamo prevedere. Allora Cecchi Gori mi chiese il sequel, ma io iniziai a lavorare a Fuochi d’artificio. È il pubblico a decidere se un film avrà successo oppure no.

E da Il sesso degli angeli cosa si aspetta?

Di regalare un’ora e mezza di spensieratezza, in un periodo così difficile tra pandemia e guerra. Abbiamo rimandato l’uscita del film di due mesi per dargli un po’ di fiato. Cerchiamo di resistere il più possibile, perché la sala è un luogo fantastico.

Dopo il prete che si inventa?

Stai a vedere che faccio il salto e racconto la mia vera anima femminile, diventando “Pie- racciona”.

Dice sul serio?

È tra i soggetti (ride, ndr). Sennò, come fanno tanti colleghi, potrei fare una serie. Certo, dodici settimane sul set non so se ce la faccio. Sono anche due, tre anni che mi suggeriscono di fare un film drammatico, ma io sono un cabarettista da cinematografo. Invece, l’elettrauto mi ha detto: perché non fai un altro Il ciclone? Qualunque sia il mio prossimo progetto, l’importante è continuare a meravigliare il pubblico con sincerità.

LEGGI ANCHE: Il sesso degli angeli, la recensione