Presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2023, ai British Independent Film Awards, al Festival di Deauville e in concorso al Roma Film Fest 2023, finalmente il viaggio di Fremont continua in sala, dove il pubblico italiano potrà scoprire le ragioni dell’entusiasmo di buona parte della critica e dei premi raccolti. Distribuito da Wanted Cinema a partire dal 27 giugno, il film diretto da Babak Jalali – e da lei sceneggiato insieme all’italiana Carolina Cavalli (Amanda) – è interpretato da Anaita Wali Zada, ma può vantare la presenza di Jeremy Allen White (The Bear, The Iron Claw) in una piccola parte, ma non per questo poco importante.
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IL FATTO:
Donya è una bella ragazza afgana espatriata nella cittadina californiana del titolo dopo essersi guadagnata il trasferimento lavorando come traduttrice per l’esercito statunitense nel suo paese, nonostante questo l’abbia fatta diventare una traditrice agli occhi dei suoi conpatrioti. Oggi lavora in un piccolo laboratorio cinese che produce i famosi “biscotti della fortuna”, dove è stata promossa al ruolo di autrice dei messaggi stampati sui foglietti in essi contenuti. Vive da sola in un edificio con altri immigrati afghani e spesso cena da sola in un ristorante locale guardando una soap opera piuttosto trash. A causa di un problema di insonnia, inizia una terapia con uno psicologo appassionato di “Zanna Bianca” che può permettersi solo grazie ad un piccolo stratagemma. Silenziosamente Donya lotta per rimettere in ordine la sua vita, e per superare la solitudine che la sua condizione di esule comporta. In un momento di disperato romanticismo decide di inviare un messaggio ‘nella bottiglia’ che in qualche modo cambierà la sua vita…
L’OPINIONE:
Da dove nascono i vaticini ai quali chiediamo risposte aprendo i biscotti della fortuna al ristorante cinese? E che peso hanno nella definizione del nostro futuro? Domande alle quali in parte risponde questo curioso ritratto in bianco e nero della vita nella provincia statunitense (per chi ancora la idealizzasse), ma soprattutto della condizione di spaesamento ed estraneità che molti emigrati vivono e che nel film passa attraverso gli occhi e le espressioni dell’esordiente Anaita Wali Zada, un volto che sarà difficile dimenticare e che sarebbe un peccato non vedere di nuovo.
Sì, certo, ci sono anche l’italiana Carolina Cavalli di Amanda e la star di The Bear Jeremy Allen White, ma – non a caso – sono gli esuli, gli espatriati, gli invisibili di ogni tipo i veri protagonisti di questo film, nel quale tutti sono diversi, e uguali nel loro esserlo. Ma nel quale, una volta tanto, sembra possibile che questo non sia abbastanza da dividere due esseri umani che vivono le stesse difficoltà o condividono gli stessi sogni, le stesse speranze, le stesse incertezze.
Oltre alla scoperta di una tale esordiente (ma Anaita era abituata alla macchina da presa per il suo passato da giornalista che in patria l’aveva resa un bersaglio per i talebani), il suo intelligente utilizzo è sicuramente tra i meriti della regista, che sceglie il bianco e nero e sfrutta il taglio delle inquadrature e il montaggio, ma soprattutto il tono dei dialoghi e l’assenza quasi totale di musica, per trascinarci in un contesto coinvolgente pur se non trascinante. E che non potrà ricordare ai più quel cult indie che ancora oggi resta Clerks, quanto a certo Jarmusch o Kaurismaki.
L’anima leggera di Fremont
Che sicuramente l’iraniano cresciuto a Londra Babak Jalali deve amare, anche per la capacità di nascondere un’anima leggera nelle loro opere. Come anche in questo Fremont, per quanto non si possa parlare di evidente ironia, marcato da momenti di nonsense notevole, soprattutto in alcuni scambi di Donya con gli amici più stretti e con il medico appassionato di “Zanna bianca” (attraverso il quale scopriamo di più di una guerra che, come sempre, ci siamo abituati a vedere solo dal nostro punto di vista) o legati all’ambito lavorativo, tra bigliettini e colpi di scena decisivi.
In definitiva, un film che merita sicuramente il prezzo del biglietto e il tempo dedicatogli, per la possibilità di riflettere in maniera non banale su vita, morte e imperialismo… e sulla domanda che si pone il ristoratore – e che molti potrebbero fare propria – riguardo alla sua teledipendenza: “Non so se sia la serie a essere interessante o la mia vita a non esserlo“.
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SE VI È PIACIUTO FREMONT, GUARDATE ANCHE…
Li abbiamo citati prima, e per quanto a modo loro siano unici e particolari – e quindi non del tutto paragonabili a questo (che potrebbe per forma e ritmo ricordare altri titoli) – vi invitiamo a recuperare il più recente Foglie al vento di Aki Kaurismaki (qui la recensione) e quel piccolo gioiellino di Coffee and Cigarettes di Jim Jarmusch del 2003, oltre, ovviamente, al cult Clerks di Kevin Smith, che tutti dovrebbero aver visto.