Calibro 9, intervista a Toni D’Angelo

Il regista, con la complicità di una banda bene assortita, riporta al cinema un classico del genere italiano. Lo abbiamo intervistato per saperne di più

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Calibro 9 Toni D'Angelo

1972: Fernando Di Leo scuote il cinema italiano portando al cinema Milano Calibro 9, soggetto e sceneggiatura dello stesso regista, ispirato dai racconti della raccolta omonima di Giorgio Scerbanenco, il maestro del noir all’italiana. Di Leo spinge sul realismo e senza risparmiarsi descrive un’Italia violenta in cui la criminalità è collusa con i poteri economici e politici. Gastone Moschin nei panni del truffatore Ugo Piazza diventa il simbolo di un filone del cinema italiano. Quasi cinquant’anni dopo, la sua eredità si fa ancora sentire, andando a riempire un vuoto in un panorama produttivo italiano che proprio ai generi ha ricominciato a guardare. Mancava ancora il gangster movie, ci hanno pensato il produttore Gianluca Curti e il regista Toni D’Angelo, riprendendo in mano la storia di Di Leo e scrivendone un sequel, con le firme anche di Luca Poldelmengo e Marco Martani, di nuovo insieme tredici anni dopo Cemento armato. Ne abbiamo parlato con il regista. Calibro 9 è sulle principali piattaforme TVOD dal 4 febbraio.

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Toni D’Angelo, da dove nasce l’urgenza di realizzare Calibro 9?

Nasce dalla passione comune mia e di Gianluca Curti per il cinema di genere degli anni ‘70 italiano. Curti è proprietario dei diritti di Milano calibro 9 e abbiamo pensato di farne un sequel.

Parlando di genere, lei già lo aveva affrontato nel film precedente Falchi. L’idea di un gangster movie ricco d’azione era stimolante.

Assolutamente, ed è stata un’esperienza bella tosta, è stato il mio primo film veramente grande, sia come budget che per settimane di set. Ma mi sono divertito molto, ho potuto mescolare cinema d’intrattenimento e di denuncia, perché sono passati gli anni, ma le cose non sono cambiate, al massimo sono diverse le modalità, ma il mondo è ancora sotto il controllo di cartelli criminali che manovrano soldi e potere.

Come siete riusciti a legare la storia originale con un sequel ambientato quasi cinquant’anni dopo?

Nel modo più classico, immaginando che il rapporto tra Ugo Piazza, ovvero Gastone Moschin, e la spogliarellista Nelly, Barbara Bouchet, che riprende il suo ruolo anche in questo sequel, non fosse finito in quell’ultima scena in cui lei prende un pugno in faccia. Al contrario, abbiamo pensato che il loro rapporto sia continuato e che dalla relazione sia nato un figlio, che è il personaggio interpretato da Marco Bocci e a cui abbiamo dato il nome di Fernando come omaggio a Di Leo. E come il padre, questione di DNA, è un truffatore.

Calibro 9 Marco Bocci Ciakmagazine.it

A proposito del cast, avete creato un’amalgama che funziona molto bene.

Essendo un film volutamente indirizzato a un pubblico speriamo vasto, cercavamo un attore popolare. Marco Bocci in questo senso era perfetto, avendo fatto anche tanta televisione di successo. Siamo partiti da lui e poi ci siamo divertiti, io per primo ho voluto realizzare dei miei sogni, come lavorare con Ksenia Rappoport, Alessio Boni e Michele Placido, che era entusiasta quando gliel’ho proposto, perché ama moltissimo il film originale e il genere, ha partecipato con l’entusiasmo di un ragazzino.

Ci saranno altre storie di Calibro 9?

Abbiamo seminato questa possibilità, il concetto è purtroppo che per quanto si possa combattere, la criminalità non si può distruggere, quindi la possibilità di andare avanti con un sequel c’è, ma non è una necessità nell’immediato né mia, né del produttore. Chiaramente nei nostri sogni c’è una serie tv, ma per il momento vorrei fare qualcosa di diverso, sempre nel genere, ma più intimista e autoriale. Ci sono un paio di progetti su cui stiamo lavorando, vedremo quale andrà in porto.