Daniele Ciprì direttore artistico di Corto Dorico: “I festival occasione di confronto”

Il regista e direttore della fotografia parla della sua esperienza al festival e della situazione del cinema post Covid

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Daniele ciprì

È partito il 4 dicembre e si concluderà domenica 12 la XVIII edizione di Corto Dorico Film Fest, il festival cinematografico di Ancona, uno dei più autorevoli e popolari d’Italia per quanto concerne i cortometraggi, diretto dal regista e direttore della fotografia Daniele Ciprì e dallo sceneggiatore Luca Caprara.

Evento ricchissimo, 73 gli appuntamenti tra incontri in presenza e online (sulla pagina Facebook di Corto Dorico e sul canale Youtube di ArgoWebTv), masterclass, workshop per ragazzi e proiezioni di cortometraggi (nazionali e internazionali), documentari e lungometraggi.

Come ogni anno verranno decretati i vincitori del concorso Nazionale e del concorso internazionale Short on rights /A Corto di diritti in collaborazione con Amnesty International. Quest’anno si è registrato il record di oltre 600 opere iscritte di cui 25 selezionate per le semifinali (Corto Slam e la semifinale del Concorso Internazionale) e finalissime.

Corto Dorico Film Fest diventa maggiorenne in un anno complicato ma di ripartenza per il mondo dello spettacolo ed è per questo che il tema scelto dai direttori artistici per questa edizione è Anticorpi – Il Cinema per la rigenerazione.

Come gli scorsi anni, tanti sono stati gli ospiti protagonisti di incontri e masterclass tra i quali uno dei più importanti direttori della fotografia al mondo, Luciano Tovoli al quale è stato dedicato un omaggio.

E poi gli attori Simone Liberati e Selene Caramazza, lo sceneggiatore e regista Francesco Bruni, Vinicio MarchioniSara Serraiocco, i registi Mauro ManciniLudovico Di Martino (La belva e Skam Italia) e Omar Rashid.

Abbiamo incontrato il direttore artistico, nonché regista e cinematographer Daniele Ciprì, per farci raccontare di questa esperienza e fare con lui un punto sulla situazione cinematografica in Italia.

In questo periodo di ripartenza che aiuto può dare il cinema?

«È complicato rispondere in quanto la gente ha ancora paura di entrare in sala anche se abbiamo riaperto a numerosi posti. In più c’è il discorso Tv che in questo momento mette a disposizione dei contributi cinematografici abbastanza ampi.

Il cinema viene trasmesso in vastità attraverso le piattaforme, quindi la curiosità dello spettatore è quasi del tutto smorzata: non c’è più quel desiderio di andare a vedere un’opera prima, un film nuovo, stenta molto. Spero che questo finisca al più presto perché la sala è stare insieme, condividere uno spettacolo».

Cosa si può fare per coinvolgere maggiormente il pubblico?

«La prima idea che mi è venuta è quella di andare nelle scuole a fare dei seminari, delle masterclass per incontrare le nuove generazioni: cercare di coinvolgerli il più possibile non solo nel lavoro ma proprio come spettatori.

Quindi, andare a cercare il pubblico, andare a incentivarli prima ancora di insegnargli a stabilire un rapporto con un’opera che viene proiettata al cinema e che tutti ci aspettiamo che vadano a vedere. Alcune generazioni hanno passione ma non hanno avuto un rapporto con la sala: un tempo il cinema era un luogo di incontri, di crescita di passione per la settima arte. Questa è una cosa che secondo me va fatta.

Ci sono attori che fortunatamente lo stanno capendo. Bisogna andare nelle scuole, addirittura elementari, per potere stimolare giovani ad andare in una sala a vedere un film. Non che la piattaforma non abbia i requisiti ma sicuramente c’è un problema di base che è quello di condividere uno spettacolo insieme».

I cortometraggi stanno ricevendo sempre più attenzione, a partire da Hollywood dove i protagonisti sono spesso attori famosissimi, come mai secondo lei?

«Ho sempre sostenuto il cortometraggio: per me è libertà di potersi esprimere con un budget e una durata che non fanno paura né a chi li fa né a chi li vedrà. E poi c’è una collaborazione di persone che non fa tremare perchè spesso sono amici. Quindi si crea una specie di stato indipendente.

Il cortometraggio è una formula con cui io sono cresciuto. Quando iniziai a fare le mie prime esperienze lavorative facevo mediometraggi e cortometraggi, fino poi ad approcciarmi alla fase televisiva e poi sono arrivato a fare i lungometraggi. Hollywood crede nei cortometraggi da una vita, in Italia sono sottovalutati, o per lo meno, siamo in pochi che cerchiamo di distribuirli, di farli vedere.

Sicuramente non ha bisogno di essere stimolato all’estero perché il cortometraggio gira il mondo mentre il nostro cinema fa molta più fatica, anche perché il cinema costa, ha una base molto più complessa rispetto a un cortometraggio dove viene riconosciuto il merito di un autore e delle voci in sé: scenografia, fotografia, etc. Oggi questa cosa è riuscita a coinvolgere anche i professionisti.

Nel mio caso lo faccio da tempo: lavoro con tanti autori come direttore della fotografia, li faccio io stesso, faccio degli esperimenti che comunque mi portano ad avere un’idea di poter attivare anche un lungometraggio e poi mi creano delle collaborazioni, delle complicità con i giovani che stimolano sia me che loro. Ci vorrà tempo ma il cortometraggio, secondo me, anche in Italia prenderà una grande forza».

Perché scegliere di essere direttore artistico di un festival di Corti?

Ringrazio sempre Corto Dorico Film Fest di avermi coinvolto ad Ancona a fare il direttore artistico con il quale condivido questa operazione che è molto complessa per uno come me che lavora continuamente sui set, con lo sceneggiatore Luca Caprara che mi dà una grande mano a costruire la programmazione del Festival. Per me è un grande privilegio e un grande onore essendo un sostenitore di cortometraggi da sempre.

Credo che i Festival di questo tipo siano proprio un modo per fare circolare i corti. E poi una cosa che mi piace del Festival è l’incontro e il confronto tra gli autori e addetti ai lavori ed è anche un’occasione di scontro se serve a motivare. E’ una specie di arena che comunque ti dà stimoli continui e li dà anche a me.

Poi ci sono i personaggi che hanno fatto la storia del cinema: quest’anno abbiamo invitato Luciano Tovoli, illustre direttore della fotografia (Suspiria, Professione: reporter e moltissimi altri) che ha raccontato degli aneddoti che servono ai giovani per capire che il cinema è anche artigianato, è anche sapersi gestire, essere intraprendenti.

Che registi e direttori della fotografia ama particolarmente in questo periodo storico?

Rispetto tutti i lavoratori dello spettacolo e in particolar modo nel cinema. Non mi piace parlare male dei miei colleghi. Sono molto amico di tutti ma sono molto polemico in modo riflessivo: non ho gelosie ho soltanto rabbia perché c’è qualcuno che si isola. Diamo tutti un contributo per cui lo spettatore si emozioni, per cui lo spettatore abbia un intrattenimento dell’immaginario, quindi qualsiasi regista ben venga. Io adesso rivaluto Ed Wood pensate un po’…

A che film è rimasto particolarmente legato e quale avrebbe voluto fare?

Più che un film a cui sono rimasto particolarmente legato diciamo che il mio sogno è quello di fare un musical, però alla mia maniera, non un remake ma una storia inventata che abbia a che fare con un modo di esprimersi attraverso la musica e attraverso la canzone. Quello è un desiderio che ho e che, probabilmente, mi rimarrà perché in Italia queste operazioni non vengono molto apprezzate.

Come direttore della fotografia mi sarebbe piaciuto tantissimo lavorare con Shyamalan, quello è il sogno assoluto, è un regista che nel bene e nel male, facendo anche errori, fa un cinema che arriva a tutti ma anche di riflessione umana.

A cosa sta lavorando in questo momento?

Adesso sto lavorando a tanti progetti come direttore della fotografia, anche serie e quant’altro. Nel frattempo sto scrivendo una storia che ho sentito tantissimo e quindi 5 anni dopo La buca mi sono messo a scrivere insieme ad altri collaboratori, Miriam Rizzo e Franco Marineo e stiamo preparando un film insieme a una bellissima collaborazione con Groenlandia, a una riflessione tra un padre e un figlio in un mondo assolutamente mio, senza spazio, tempo, senza date, quindi mi sono costruito un immaginario ma facendo una riflessione su una famiglia.