Full Time – Al cento per cento, una vita difficile

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Aveva già raccontato donne e impiego nel suo film precedente, Crash test aglaé, ma questa volta Éric Gravel centra in pieno l’obiettivo sintetizzando nella corsa contro il tempo di Julie la gravità di un disagio sociale che colpisce soprattutto le donne,private della possibilità di ottenere un lavoro degno della loro formazione e di allevare i propri figli assicurando loro un futuro dignitoso.

Distribuito da I Wonder Pictures, Full Time–Al cento per cento è nelle sale dal 31 marzo.

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«Mio padre ha lottato tutta la vita come operaio – ha detto il regista – ed è stato un’importante fonte di ispirazione. Oggi la classe media sta scomparendo, anche dagli schermi cinematografici. Qui il dramma sociale assume la forma di un thriller, dove i gesti quotidiani diventano fonte di tensione. Julie però non è un’agente della CIA a caccia di un nemico, ma una madre single che, in cerca di un’esistenza migliore, vive in costante accelerazione. Una guerriera».

A rendere ancora più angosciante la sua battaglia è la difficoltà di individuare nemici contro cui scagliarsi.

«Non volevo che ci fosse un vero e proprio antagonista, preferisco le zone grigie. L’obiettivo era parlare di una donna nel momento in cui tutti i suoi problemi si sommano, costringendola ad affrontare giornate di emergenza».

Spesso convulsa, a volte più distesa, la regia del film, che segue una donna in continuo movimento, ha colpito al cuore la giuria di Venezia 78, sezione Orizzonti, presieduta da Jasmila Žbanić.

«Nel film», prosegue Gravel, «si passa dalla camera a mano alla steady-cam perché le
immagini dovevano adattarsi alle emozioni della protagonista. La prima restituisce ansia,
insicurezza, tormento, mentre quando Julie è più padrona della situazione la camera si muove con maggiore fluidità».

Guai però a parlare di lieto fine. «Il finale è decisamente aperto e non necessariamente lieto. Di sicuro rappresenta un sollievo, ma fa nascere molte nuove domande sul futuro di Julie».

E a proposito di Laure Calamy:

«Ha una rara capacità di coniugare dramma e commedia, pathos e leggerezza, durezza e
tenerezza. Mi piace come riesce a contaminare il dramma con l’umorismo».

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Chi si è lasciato sedurre dall’irresistibile serie Netflix Chiami il mio agente! ha incontrato la Calamy nei panni di Noemi, innamorata del capo dell’agenzia e geniale nell’incastrare gli impegni delle star più capricciose. Un ruolo brillante che si aggiunge a quelli interpretati in film come Le nostre battaglie di Guillaume Senez, Tutti i ricordi di Claire di Julie Bertuccelli, Une femme du monde di Cécile Ducrocq e Io, lui, lei e l’asino di Caroline Vignal per cui ha vinto un César.

«Mi sono lasciata attraversare dalle emozioni che vive il personaggio – commenta l’attrice, una vera forza della natura – che ho imparato a conoscere durante le riprese. Mi sono preparata al ruolo seguendo anche un corso di formazione all’Hotel Bristol e attraverso le conversazioni con una mia amica sindacalista.

Non sono mai contenta di me stessa, sono molto puntigliosa, per questo abbiamo lavorato molto scrupolosamente su ogni scena. Si tratta di un film sulle difficili condizioni lavorative di tante persone e sul ritmo frenetico che assorbe molte ore delle nostre giornate. La protagonista non fa che passare da
un inferno all’altro».