LONDRA – I Transformers non muoiono mai. Anzi, rinascono, con Transformers One. C’era già stato un tentativo con Bumblebee, il film che raccontava la “giovinezza” del primo Autobot caduto sulla Terra, ma Lorenzo Di Bonaventura, storico produttore della saga, ha capito che si poteva spingere ancora più indietro. Tornando su Cybertron per svelare come tutto ebbe inizio da due giovani robot minatori. Orion Pax e D-16 sono praticamente fratelli e sognano un futuro diverso. Lo avranno, ma sacrificheranno su quell’altare quanto di più caro.
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Non più live action, Transformers One passa all’animazione a tutto tondo per questa origin story che apre scenari futuri infiniti per la saga, come ci ha detto il regista Josh Cooley, già premio Oscar per Toy Story 4, che abbiamo incontrato a Londra all’inizio di giugno, subito dopo avere visto in anteprima assoluta e in esclusiva per l’Italia il film, che uscirà, distribuito da Eagle Pictures, il 26 settembre (con anteprime il 21 e 22).
Josh Cooley, partiamo dallo sviluppo narrativo di Transformers One. Era molto importante rispettare tutta la tradizione del franchise, non solo cinematografico.
Quando ho iniziato a lavorare al progetto ho incontrato la squadra di Hasbro, l’azienda che detiene i diritti di Transformers. Mi hanno dato una montagna di cose. Pensavo di essere un esperto, sono cresciuto con i loro giocattoli e guardando i cartoni animati. Ma c’è molto di più, una mitologia comparabile a quella de Il Signore degli Anelli di cui non sapevo nulla e di cui fa parte l’arco narrativo di Orion e D-16. La loro storia era stata toccata in passato negli albi a fumetti e in alcuni episodi della serie animata, ma non era mai stata sviluppata per il cinema.
Parliamo della costruzione dei personaggi. Conosciamo Optimus, Bumblebee e Megatron da quasi vent’anni, ma sappiamo relativamente poco di loro.
Perché parliamo di caratteri diversi, questa era la grande sfida. Sono personaggi forti e volevo essere sicuro che incontrandoli nella loro giovinezza si percepisse la grandezza e il destino che li avrebbe attesi. Ma per ognuno bisognava trovare la giusta chiave per il viaggio che si accingono a intraprendere.
C’è un interessante aspetto politico nel film, la metamorfosi filosofica di D-16 è quella che molti statunitensi hanno avuto negli ultimi dieci anni, con l’ascesa delle ideologie populiste e di destra.
Credo sia un processo in divenire partito da lontano. Se pensiamo alla serie animata originale, era la storia della guerra tra Autobot e Decepticon per la supremazia su un pianeta morente per mancanza di energia. Fu scritta in piena crisi del petrolio. Raccontare storie che si riflettono nella realtà viene naturale, rende tutto il tessuto narrativo più realistico.
Hai vinto un Oscar con la Pixar, adesso hai dovuto creare un tuo team da zero per Paramount e Hasbro. Come hai vissuto questo cambiamento?
La Pixar è stato il mio primo lavoro, ero ancora al liceo quando sono entrato e sono rimasto lì per diciotto anni. Ed è vero che una volta andato via ho dovuto mettere insieme una squadra tutta nuova. Ma è stato proprio questo il bello, avere la possibilità di lavorare con artisti mai incontrati prima e insieme costruire questo nuovo mondo. Credo che anche questo ripartire da zero per tutti quelli che hanno lavorato a Transformers One abbia contribuito alla freschezza del film.
Una freschezza che non dimentica la classicità. Amici fraterni che si fronteggiano, la donna forte punto d’equilibrio, il buffone di corte. È una tragedia shakesperiana.
Certamente. Quando ho letto la prima stesura della sceneggiatura tutti questi elementi erano già presenti, ma ne avevo una visione più biblica, Orion e D li identificavo più come Caino e Abele, mentre i padri Transformers erano per me come i Cavalieri della Tavola Rotonda. Erano questi miti che volevo infondere nel racconto, per far sì che fosse universale e senza tempo, non importa che sia ambientato nello spazio e in un passato lontanissimo.
Parliamo delle suggestioni visive. C’è un forte riferimento all’espressionismo tedesco. Le scene nella miniera sono chiaramente ispirate a Metropolis.
È vero, ed è assolutamente voluto. Quando si fa un film in CGI ogni decisione viene presa in base a un’intenzione precisa. L’idea di Metropolis vuole sottolineare che abbiamo di fronte delle macchine, che lavorano con la perfezione e l’efficienza di una macchina.
Negli ultimi anni la concorrenza nel mondo dell’animazione si è fatta agguerrita. Netflix ha prodotto Nimona, film magnifico. Inside Out 2 regge il confronto con il primo. The Wild Robot, che uscirà subito dopo il vostro, punta all’Oscar. Quanto è stimolante questa competizione?
È una sfida continua per ognuno di noi. Tutto è iniziato con il primo Spider-Verse, ci ha ribaltato il cervello, me compreso, e ha cambiato le carte in tavola. È quello che voglio anche io, spingere il limite sempre più in là. La velocità con cui si sviluppa la tecnologia ci permette di farlo. Se voglio creare la sequenza di un flashback fatta esclusivamente di sabbia metallica, lo dico alla Industrial Light & Magic e loro trovano la maniera. Funziona così.
Transformers One apre mille scenari per la costruzione di una saga precedente all’arrivo sulla Terra.
È il progetto da cui siamo partiti, creare una nuova linea narrativa, per cui non sia necessario conoscere i film precedenti, anzi. Non abbiamo ancora iniziato a lavorare su un secondo film, ma posso dirti che non vedo l’ora di cominciare.