Johannes Wirix, da Comandante all’amore per l’Italia e la diversità: «Sogno di fare il Piccolo Principe»

Dalla Mostra del cinema di Venezia alle sale di tutta Italia con Comandante, Johannes Wirix racconta a Ciak il suo passato, presente e futuro: «sono un belga cresciuto in Olanda, ma mi sento a casa nel paradosso di Roma»

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Johannes Wirix comandante

Non «gli piace tanto parlare di sé», ma quando comincia, è un fiume in piena, Johannes Wirix, il giovane attore di Comandante di Edoardo De Angelis che ci ha catturato alla Mostra del Cinema di Venezia e che dal 31 ottobre troviamo finalmente in sala al fianco di Pierfrancesco Favino e Johan Heldenbergh. Nato in Belgio ma cresciuto in Olanda, Johannes sfoggia un italiano perfetto, imparato in poco tempo durante uno scambio Erasmus a Roma che «gli ha cambiato la vita» e che ha dato slancio alla sua carriera da attore. In Comandante (suo primo film) interpreta il mediatore linguistico che a bordo del sommergibile Cappellini guidato dal capitano Todaro traduce dall’italiano al fiammingo e viceversa. Un ruolo che, ci racconta, si è sentito «cucito sulla sua pelle» e che rispecchia in pieno il suo sentirsi portatore di nazionalità e culture diverse. Abbiamo parlato di questo, del suo rapporto con l’Italia e con il cinema, ma anche delle riprese di Comandante, di progetti futuri e di sogni. Tra i quali, vi anticipiamo, c’è quello di interpretare il Piccolo Principe, curioso della vita proprio come lui.

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Johannes, dal Belgio all’Italia, in Comandante ci hai letteralmente rapito. Come nasce la tua passione per la recitazione? 

Sono nato in Belgio, ma sono cresciuto ad Haarlem, vicino Amsterdam. Ci siamo trasferiti in Olanda perché mio padre faceva il vescovo lì. Quando è morto avevo 10 anni e con la mia famiglia abbiamo deciso di rimanere. Benché simili, in questi paesi si parlano due lingue diverse, il fiammingo e l’olandese, e questa cosa mi ha sempre fatto sentire “la diversità”. Con la morte di mio padre è nata la mia passione per la recitazione: avevo bisogno di reinventarmi, di trovare un nuovo senso nella vita. Ho trovato una casa accogliente nel teatro, dove mi sentivo in grado di scegliere io i personaggi, le storie positive e negative. Sono tornato in Belgio, ho fatto l’Accademia ad Anversa, ma proprio quando pensavo di  sentirmi “super belga”, ho provato una forte delusione. Di nuovo, ho risentito il bisogno di cambiare e ho deciso di fare lo scambio Erasmus per diventare attore in un’altra lingua, così da poter condividere le mie esperienze. Sono andato a Roma alla Silvio D’Amico.

Com’è andata?

È stata la scelta più intuitiva e più bella della mia vita. Mi sono riempito di ispirazione, di amore e di teatro. Ho trovato un’agenzia e ora mi sento a casa qui. Per me l’Italia è un paese ambiguo: è lo specchio del passato e del futuro. Roma è la Città Eterna, è super viva, ma allo stesso tempo antica. Mi sento a casa in questo paradosso, essendo un belga cresciuto in Olanda. 

Come sei finito in Comandante?

Mi è arrivato il provino. Ho fatto un self tape in cui mi presentavo (si faceva così con il Covid) finché non mi hanno chiamato per fare un provino in presenza. Il giorno del mio compleanno sono andato a Roma e ho incontrato Edoardo de Angelis. Il personaggio era scritto sulla mia pelle: fa da tramite tra le due lingue e culture, è diverso dagli altri, non è un uomo di mare, ma un uomo di poesia e connessione umana.

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Parlavi di convergenza e differenze di nazionalità. In una delle scene più divertenti del film, quella in cui italiani e belgi discutono di cucina e patatine fritte, si sente molto questo aspetto.

C’è un paragone molto bello nel film perché sia l’Italia sia il Belgio sono due paesi molto ricchi di dialetti. Il Belgio è un paese giovane, ma ci sono tante culture diverse. Già durante la Seconda Guerra Mondiale c’erano tre lingue ufficiali e tantissimi dialetti. Ogni piccolo villaggio ha la propria lingua, un po’ come in Italia. E tutti i personaggi belgi di Comandante hanno il proprio dialetto, proprio come i personaggi italiani.
Sulla scena delle patatine fritte ricordo che quando l’ho vista in sala per la prima volta ho sentito i giornalisti applaudire. È una scena divertente, ma che ci fa anche capire il messaggio del film: abbiamo sempre qualcosa in comune, anche nella diversità. È un tema importante oggi, con tutte queste guerre che stiamo vivendo.

Com’è stato stato recitare con Pierfrancesco Favino? Lo conoscevi già come attore? 

Sì, lo conoscevo di nome, avevo visto qualche suo film in Belgio e in Olanda. Quando la mia agente mi ha chiamato per dirmi che mi avevano preso, è stata una grandissima sorpresa. Insomma, il mio primo film con due mostri come Pierfrancesco Favino e Johan Heldenbergh! Sono stati due padri che mi hanno insegnato tanto, con tutta la loro esperienza. Allo stesso tempo sono riusciti a farmi sentire al loro pari. Ho improvvisato con Favino una scena intera! Quella dove c’è più intimità tra noi. Edoardo De Angelis ci ha dato fiducia e libertà di sperimentare e questo ci ha avvicinato di più ai nostri personaggi, sia a livello umano che professionale. Favino è un attore incredibile, accanto a lui avevo l’impressione che non dovessi fare niente, faceva tutto lui!

Parliamo di riprese. Il film è stato girato a Taranto e negli interni di Cinecittà. Com’è stato girare in quel sommergibile ricreato? 

La parte interna del sommergibile è stata ricostruita a Cinecittà. È stato abbastanza claustrofobico, ma per me le scene più spaventose sono state quelle in mare, dato che ho paura dell’acqua! Abbiamo fatto tante riprese al freddo, in notturna, e tutta la crew e i coordinatori sono stati eccezionali. Ho fatto lezioni di nuoto con dei militari che mi hanno insegnato a sentirmi a mio agio nell’acqua. Quando vedo il making of mi chiedo “ma davvero ho avuto tutto questo coraggio?” [ride]. Ma credo che la paura non sia un sentimento sbagliato, non deve fermarci. Dopo aver fatto quel film sono andato a nuotare più spesso.
A Taranto ci siamo sentiti a casa, sembrava la nostra città. Siamo stati nello stesso hotel per due mesi prima di Natale, sembravamo una vera famiglia. Sono molto nostalgico se ripenso a quel periodo.

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Pensando al futuro, invece, dove ti troveremo presto? 

Voglio continuare la mia carriera nel cinema. Prima era un sogno irraggiungibile, ora sembra più una realtà. Ho due agenti, uno in Olanda e uno in Italia. Mi piacerebbe fare più progetti come Comandante, con tanti attori di nazionalità diverse.

C’è un regista italiano con il quale ti piacerebbe tanto lavorare?

Paolo Sorrentino. In tutto quello che fa, è un maestro dell’estetica. Il cinema italiano ha uno stile unico. Spero che Sorrentino veda Comandante!

E un ruolo dei sogni? 

Sai, mi piacerebbe tantissimo fare un film sul Piccolo Principe. È un libro conosciuto in tutto il mondo e in quel personaggio ci sono tanti paragoni con la mia vita di quando ero a Roma. Spesso mi chiamano proprio Piccolo Principe perché sono una persona molto curiosa: mi piace chiedermi le cose e non avere risposte, ma altre domande.

Lo Johannes spettatore cosa ama guardare?

Mi piace quando un film suggerisce qualcosa per stimolare la mia immaginazione. Mi è piaciuto il film Holly di Fien Troch a Venezia, ad esempio, perché non è esplicito. È questo ciò che rende universale il cinema.

Hai citato Fien Troch. Come vedi il cinema belga?

Il Belgio è un melting pot di culture, ci sono spesso progetti internazionali. Abbiamo bisogno si tendere la mano ad altri popoli e culture per raccontare storie. Il cinema è l’unica arte che può rendere universale anche una storia piccolissima.

Guarda qui la nostra intervista a Johannes Wirix